«Servono guanti di velluto per ricucire gli spazi urbani»

Ridare forma e riconnettere un tessuto urbano troppo lacerato: questa, per l’architetto e urbanista Alessandro Franceschini, è la sfida che attende Pergine nei prossimi anni

di Giorgia Cardini

Ridare forma e riconnettere un tessuto urbano troppo lacerato: questa, per l’architetto e urbanista Alessandro Franceschini, è la sfida che attende Pergine nei prossimi anni. Le due «armate» che si confronteranno il 10 maggio (da una parte il centrosinistra autonomista con Stefano Tomaselli, dall’altra le liste civiche con Roberto Oss Emer) hanno ben presente il problema, causato dalla crescita  «confusa» avvenuta negli ultimi vent’anni che hanno trasformato un paese in una città, sì, ma «satellite» del capoluogo trentino.

«Oggi Pergine deve prendere atto di questa sua storia e deve prendersi le responsabilità di essere la terza città del Trentino - dice Franceschini -. Ed esperienze recenti, interessanti, come il rafforzamento simbolico di viale degli Alpini, con l’inaugurazione del teatro comunale, danno dei suggerimenti utili in tal senso».

Per l’urbanista, i problemi di Pergine non sono tanto nel centro storico «che certamente può essere valorizzato e potenziato ma che, per certi versi, ha mantenuto una qualità architettonica e paesaggistica di grande interesse», ma nel suo esteso «hinterland», troppo anonimo.

Per Franceschini, la prossima amministrazione dovrà raccogliere la pesante eredità lasciata in questi decenni ed assumersi appieno gli obblighi che derivano dall’essere a capo di una città complessa, articolata e multiforme, con ancora molte cartucce in canna: «La riqualificazione del lungolago di San Cristoforo è solo una delle tante opportunità presenti. Anche in questo caso non ci si può accontentare di una riqualificazione del margine lacustre, ma occorre lavorare per riconnettere il lago di Caldonazzo al centro storico, rimarginando una ferita secolare».

Ma il lavoro più difficile sarà quello di ridare forma ad un tessuto urbano che oggi appare come un edificato sparso, un arcipelago edilizio fatto di lottizzazioni, in costante conflitto col sistema ambientale circostante. «Per questo sarà utile promuovere un’urbanistica che sappia lavorare con i guanti di velluto, capace di immaginare un lavoro di sartoria orientato a ricucire spazi aperti, tessere nuove relazioni, creare connessioni ciclo-pedonali, implementare luoghi di socialità, valorizzare aree identitarie e relazionare aree verdi ed ecosistemiche. Dentro e fuori il centro abitato e in un dialogo costante con il prezioso ambiente circostante e le tante frazioni che circondano Pergine». Una pianificazione da concertare con gli abitanti, la società civile, gli imprenditori.

Silvio Casagrande è d’accordo: «Dobbiamo collegare tutte le parti di questa città con se stessa e con le altre zone limitrofe per consentire a chi lo voglia di camminarla da cima a fondo, prendendo esempio dalla Svizzera dove si possono percorrere centinaia di chilometri senza pericolo. Abbiamo un ambiente unico, non sprechiamo un’occasione di vero sviluppo».

Aggiunge Giorgio Perini: «La contrarietà ai tralicci alti 72 metri del nuovo elettrodotto, previsti sul  «Montengian» sopra Serso e Viarago e all’imbocco della valle del Mocheni, non è sterile ambientalismo, ma visione del futuro, tenendo presente che qui economia e ambiente sono fortemente intrecciate. Quel monte, come l’area intorno all’ex Villa Rosa ora in abbandono, si presterebbe a un recupero agricolo, utile anche a creare nuovi posti di lavoro. Condivido l’idea lanciata dal dottor Paolo Bortolotti: facciamo una public company, compriamo l’ex Villa Rosa e salviamolo dal degrado. E puntiamo a fare di tutta l’area del Fersina un’area vocata al biologico. È possibile, basta volerlo». 

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