A Cles la retromarcia delle Poste

di Andrea Tomasi

L’ufficio postale di Cles a mezzo servizio: apertura solo al mattino. Anzi no. È un’altalena che mette in difficoltà i cittadini/utenti del principale centro della Valle di Non. La notizia è stata diffusa pochi giorni fa. Ieri abbiamo raccolto il malcontento di chi, dalla sera alla mattina, ha scoperto che, tra pochi mesi, un servzio considerato essenziale verrà contratto. I sindacati erano già sul piede di guerra, mentre i reponsabili delle ammninistrazioni comunali, al di là delle dichirazioni ufficiali, in questi casi si trovano con le armi spuntate. Sempre ieri, nel pomeriggio, è arrivata però la comunicazione dell’ufficio stampa delle Poste: la rimodulazione degli uffici (per oggi era prevista una riunione decicata nella sede centrale, a Roma) non si farà.

Tutto sospeso, in attesa di una analisi dettagliata dei bisogni del territorio e delle contromosse degli enti pubblici locali (i Comuni e la, pur sempre potente, Provincia autonoma di Trento). Insomma per ora si è deciso di non decidere. Nei giorni scorsi i vertici di Poste hanno sentito i sindaci, che chiaramente non l’hanno presa benissimo. Si tratta di capire quali saranno i prossimi passaggi. Per adesso, dopo l’annuncio della chiusura parziale (abbassamento delle serrande alle 13.30), tutto viene «congelato». Ma è ovvio che, se nel Palazzo dell’Eur l’ipotesi è finita sul tavolo più importante, in Val di Non (la questione riguarda ad esempio anche Mezzolombardo) ci si aspetti il colpo di scure.

E il pensiero va a tutti gli uffici periferici della valle. Sì, perché se si metterà mano all’orario dell’ufficio di Cles - che è il più importante per numero di utenti, oltre che per il suo valore simbolico - è facile immaginare che le altre sedi delle Poste (25 uffici in tutta la valle) non rimarranno così come stanno. Si pensa a riduzioni di orario o anche a chiusure.

E questo «stop & go» contribuisce a creare un clima di incertezza e di sfiducia che non fa bene a nessuno. Non fa bene alle Poste, Spa che però opera in condizione di monopolio e quindi l’ostilità dei cittadini la può scaricare tutta sugli addetti allo sportello o sui portalettere, recettori del malcontento diffuso. Un po’ più in difficoltà sono gli ammnistratori pubblici che si trovano rispondere agli elettori, ma in realtà sono senza «proiettili». Il sindaco Ruggero Mucchi, che abbiamo sentito prima della retromarcia ufficiale sulla sede di Cles, dice che l’atteggiamento dei vertici di Poste Italiane è stato gentile ma fermo. «E il punto è che noi amministratori pubblici abbiamo zero voce in capitolo sull’argomento». Sì, perché qui non si tratta di una società pubblica, che deve tagliare perché la voce «sede fisica» rappresenta un ostacolo. In quel caso, come è stato per l’Agenzia delle Entrate, l’ente pubblico può intervenire mettendo a disposizione un proprio edificio. In questo caso il problema è organizzativo. «Mi è stato detto che sono stati fatti dei sondaggi, degli studi sull’affluenza negli uffici e per questo è stata annunciata la chiusura. Mi domando cosa accadrà agli uffici postali del resto della valle». Per ora non si può che attendere eventuali decisioni o scongelamenti.

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