I 50 anni da vescovo di "padrecito" Dante Frasnelli

di Guido Smadelli

L’1 novembre del 1967 monsignor Dante Frasnelli veniva nominato vescovo di Huari, regione andina del Perù. 
 
Nato a Dardine, in Val di Non, il 6 gennaio del 1925, Dante fu ordinato sacerdote (Oblati di San Giuseppe) il 6 luglio del 1952; nello stesso anno partiva per la missione, verso il Perù, e l’11 febbraio del ’53 iniziava il servizio, per essere nominato il 14 marzo successivo parroco di Pallasca, ruolo ricoperto per otto anni. 
Il 20 novembre del ’58 è nominato vicario generale della nuova giurisdizione ecclesiastica dei dipartimenti di Ancash e di Huanaco; per poi diventare, l’1 novembre del 1967, vescovo della diocesi di Huari, rimanendolo fino al 13 giugno del 2001. Quando papa Giovanni Paolo II accetta le sue dimissioni per limiti di età, ha ormai 76 anni. 
 
Ma «padrecito Dante», come viene denominato in America Latina, rimane vescovo onorario, e ancora a lungo opera nelle «sue» terre, per ritirarsi infine a Lima, in una casa messa a disposizione dall’associazione Operazione Mato Grosso, con lui sempre in contatto nei suoi decenni di impegno, che tuttora prosegue, nonostante l’età. 
Tanto da non voler rientrare al suo paese (ultimo rientro in Italia  risale al 2010); la festa per i suoi 90 anni si è svolta laggiù, e là intende rimanere sino alla fine, perché ormai quella è la «sua» terra.
 
Per il Perù monsignor Dante era stato scelto dal missionario levicense Marco Libardoni, che lo aveva notato fin da quand’era seminarista, chiamandolo al suo fianco; Libardoni era vescovo della missione di Huari, ed al momento della sua scomparsa  su quelle terre ad oltre 3 mila metri di quota, povere, abitate da indios di origine incaica  monsignor Dante era già inserito, conosceva i villaggi, le persone. Logica successione a capo della diocesi, e decenni di impegno contraddistinti da un’operosità che l’ha fatto amare dai suoi fedeli.
 
Non senza difficoltà: il terremoto del ’70 (oltre 70 mila morti), quando era crollata anche la cattedrale dedicata a Nostra Signora del Carmine, pochi minuti dopo la fine di una partecipata messa (e grazie a lui ricostruita), «Sendero luminoso» che conduceva la guerriglia, con minacce di morte anche nei suoi confronti. 
«Io aprii le porte a madre Ugo de Censi, fondatore dell’Operazione Mato Grosso», ricordava don Dante in un’intervista qualche anno fa. «Con lui ho potuto realizzare opere di sviluppo straordinarie per la zona, che hanno fatto parlare l’intero Perù, molte hanno avuto il sostegno dei trentini». 
L’acqua potabile ad Huari è un esempio di queste opere: «La gente di Taio contribuì a far giungere l’acqua in 15 paesi».
 
In occasione del suo 90° compleanno, due anni fa, due suoi nipoti (Dante Endrizzi e Giovanni Frasnelli) si erano recati oltreoceano, per porgergli il saluto della sua comunità nativa, trovandolo in piena forma, ancora in grado di trasmettere serenità. I due nipoti avevano preso parte ai festeggiamenti svoltisi a Huari: nugoli di persone, con musica, poesie, messaggi di comunità, canzoni dedicate a «padrecito Dante».
 
Festeggiamenti che ora si ripeteranno, per il 50° anniversario della sue nomina a vescovo di Huari, anche se ormai è solo vescovo onorario, ma di lungo corso. Anniversario che cadrebbe l’1 novembre, ma la festa è in calendario sabato 4 novembre. D’altronde, su un periodo tanto lungo, 3 giorni che differenza fanno? 
In contemporanea (tolti i problemi di fuso orario), monsignor Dante sarà ricordato anche a Dardine, nella stupenda chiesetta di San Marcello, dove il 13 luglio del ’52 aveva celebrato la sua prima messa da parroco, dinanzi ad una popolazione in festa. 
 
Di quei fedeli ci sono oggi i discendenti, che non si dimenticano comunque del «loro» vescovo, che per gli indios di origine incaica ha sempre operato su due binari: evangelizzazione e promozione umana, favorendo la costruzione di scuole, collegi, reti idriche, irrigazione dei campi, per consentire alle genti andine di avere dignità e futuro.

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