«Spelacchio? Era bello sano»

di Mario Felicetti

«Da qualche giorno è diventato di moda chiamarlo “spelacchio”, protagonista di giornali e telegiornali e di tutte le trasmissioni radiofoniche e televisive. Ma un fatto è certo. Dalla val di Fiemme e dai boschi della Magnifica Comunità l’abete portato a Roma era perfetto. Che cosa sia successo dopo, durante il viaggio o quando nella capitale è stato allestito non lo so e non voglio accusare nessuno, ma qualcosa di strano è avvenuto e questo non può sicuramente essere addebitato alla Magnifica».

Come suo costume, mantiene un profilo basso il dottor Stefano Cattoi, direttore dell’Ufficio Forestale dell’ente storico della valle di Fiemme e direttore della segheria comunitaria di Ziano, fatto oggetto, in questo giorni, di una ininterrotta serie di telefonate da tutti gli organi di informazione e da tutte le reti, Mediaset, Rai, programmi radio, quasi che la vicenda dell’abete fiemmese a Roma sia diventato l’unico problema di oggi in Italia.

«Voglio mantenere la calma - dice ancora Cattoi - anche se siamo stati messi ingiustamente in mezzo ad una vicenda che è diventata, a quanto pare, il problema più importante di questo Natale.
Ribadisco, senza voler essere presuntuoso, che quando è stata tagliata e quindi inviata a Roma, la pianta era in condizioni ottimali. Ovviamente non siamo contenti di quanto è successo, ma non possiamo davvero farci niente. Le cause possono essere tante. Spero solo che arrivi Natale in fretta e che questa storia possa essere chiusa».

Sulla stessa lunghezza d’onda lo Scario Giacomo Boninsegna. «Sono anni - chiarisce - che la Magnifica Comunità di Fiemme porta abeti natalizi in tutta Italia e una cosa del genere non era mai successa. Resta il fatto che da qui l’albero è partito in ottime condizioni. Poi che cosa sia successo o durante il viaggio o per come è stato trattato e gestito in sede romana non possiamo saperlo.
Qualche luminare ha anche detto che le radici non potevano essere tagliate. Forse non sa che le stesse si propagano tutto intorno anche per parecchi metri e che quindi sarebbe stato impossibile portare l’abete a Roma con le radici. Noi, ripeto, non riteniamo di avere alcuna colpa, come del resto mi ha scritto un cittadino della capitale, che, con una mail inviata ieri, mi ha confermato che non vede l’ora di tornare in valle e di vivere le emozioni che i nostri boschi sono in grado di garantire. Il dubbio è che questa vicenda abbia assunto i caratteri di una storia politica, viste le polemiche emerse intorno all’amministrazione comunale capitolina. C’è un vecchio detto che afferma che fa più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce. Non aggiungo altro. Solo la constatazione che le foto che ci arrivano da Roma non sono quelle dello splendido abete partito dalla valle. Il resto non è addebitabile alle nostre responsabilità».

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