Salute / L’intervista

Disturbi alimentari, la storia di Lucia Brunialti: «Salvata dalla musica, ora vivo di libri e di storie»

Bibliotecaria di ruolo a Ledro a 28 anni, ha superato una grave forma di anoressia e stasera (15 marzo) racconta il suo vissuto alla biblioteca di Arco in occasione della Giornata del Fiocchetto Lilla: «Vorrei contrastare il disagio relazionale, il senso di abbandono e l’omertà che caratterizzano queste problematiche» 

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di Elena Piva

LEDRO. «Un macigno, portato solo su di sé, schiaccia. Trasportarlo in due pesa meno e consente di fare un po' di strada». Lo dice sempre Lucia Brunialti, ventottenne di Pieve di Ledro e bibliotecaria di ruolo nella struttura comunale ledrense, che stasera (15 marzo) alle 20.30 presenterà il suo libro «10 pomodorini al giorno. Come la musica mi ha salvato la vita» (Gruppo Albatros. Il Filo, 2023) alla biblioteca civica di Arco.

Laureata in graphic design e multimedia all'Accademia delle Belle Arti (Laba), ha lavorato come grafica in varie realtà, continuando a coltivare la sua passione per l'illustrazione e gli albi illustrati. Dopo aver conseguito un master in biblioteconomia e catalogazione digitale dei beni archivistici e librari, ha svolto il servizio civile presso la biblioteca arcense. La perdita del padre in seguito a morte violenta nel 2002 l'ha tenuta per mano durante l'infanzia: una realtà taciutale a lungo da tutti. Il dolore e la scoperta di quanto accaduto l'hanno portata a sviluppare una profonda depressione e a soffrire in adolescenza di disturbi del comportamento alimentare. Con lei però c'era la musica (e il suo talento, specie con il sassofono) che le ha permesso di trasformare la sofferenza in arte.

In occasione dell'odierna «Giornata nazionale contro i disturbi dell'alimentazione» (Giornata del Fiocchetto Lilla) abbiamo dialogato sul valore delle parole e dei libri, fonti di energia contro la malattia. Lucia, quando ha deciso di mettere per iscritto il suo vissuto?
«È stata una necessità. A 16 anni ho sofferto di anoressia nervosa e la scrittura è stata un'àncora di salvezza, era un'amica cui affidarmi. Dieci anni dopo ho rivisto il materiale (conservato gelosamente) e lo ho assemblato. A spingermi in questa dolorosa rielaborazione è stata la voglia di dare luce a temi di cui si parla poco. Vorrei essere d'aiuto per chi si sente solo. Non parlarne può far credere che certi dolori non esistano; invece, accorgersi di non essere gli unici a sperimentarli può dare nuovi spunti per affrontarli».

Quali sono stati gli ostacoli nella stesura?
«Riprendere i contenuti di quella sofferenza mi ha costretta in un certo senso a riviverli. Ogni rilettura ha avuto i suoi passaggi delicati. L'alternanza fra diario, narrazione e testi in rima può risultare all'inizio confusionaria, tuttavia rappresenta appieno il forte disagio e la rabbia vissuti. Mi sorprendo quando ricevo messaggi di persone curiose di leggere il libro. I feedback mi fanno capire di essere riuscita nel mio intento. Sono passati mesi dalla prima copia stampata e ancora non ci credo. Quando guardo il dettaglio sottile dei dieci cerchi in copertina, richiamo di quei maledetti pomodorini, colgo la concretizzazione di un atto di coraggio, il trofeo di un percorso intenso».

Cosa racchiude l'espressione "10 pomodorini al giorno"?
«Forse può dare l'idea di un manuale sull'alimentazione. Una signora mi ha chiesto se stessi seguendo qualche cura. In realtà è un titolo emblematico: i dieci pomodorini sono stati il mio unico nutrimento giornaliero per un certo periodo. Il libro vuole essere una testimonianza reale che racconta l'importanza della condivisione, dell'ascolto, della cura e dell'amore per risalire dal fondo del burrone dei disturbi alimentari».

Quanto incide il giudizio altrui sulle scelte di chi sta soffrendo?
«Nella società contemporanea ogni persona è costantemente esposta al giudizio. Affrontano questi disturbi persone con fragilità e forti insicurezze che fomentano in loro un senso di inadeguatezza, indipendentemente dagli altri. Non credo che il timore sia legato al giudizio in sé, piuttosto a una difficile accettazione e scarsa autostima. In queste condizioni, mettersi sempre in discussione diventa nocivo. Ogni storia si sviluppa in maniera differente, pur avendo tratti comuni e questo rende più complicato il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare. Le reazioni rispetto al giudizio sono disparate: chi assume un atteggiamento di ribellione e si oppone ad ogni "suggerimento" (di una persona cara, di un professionista), chi si abbandona totalmente alle decisioni degli altri. Nel mio percorso mi sono sentita profondamente etichettata, ne ho sofferto parecchio».

Pregiudizi con cui la Giornata del Fiocchetto Lilla continua a scontrarsi.
«Sì. I disturbi del comportamento alimentare meritano attenzione, rispetto e cura. A livello individuale ed istituzionale, è necessario scoraggiare il distacco e il disinteresse per evitare l'indifferenza. Favorire, invece, la crescita di una cultura fondata sull'ascolto. I Dca possono colpire chiunque indipendentemente da età, peso, etnia, nazionalità, genere, stato socio-economico o background culturale. Con la mia storia vorrei riuscire contrastare il disagio relazionale, il senso di abbandono e l'omertà che caratterizzano queste problematiche. Insieme possiamo restituire voce e dignità a chi pensava di averle perdute ed evitare che questi temi vengano sottostimati al punto da generare altre complicazioni personali, cliniche e sociali».

Quali accorgimenti potrebbero avere i familiari di chi soffre di Dca?
«È importante parlare sempre e non avere paura di chiedere aiuto. Avrei avuto bisogno di meno dispensatori di inutili consigli e più cura quotidiana».

Il timore di fronte alle fragilità di una persona genera talvolta una barriera comunicativa. Con quali mezzi è riuscita a ledere gli scogli relazionali?
«Una persona malata tende a sollevare un muro affinché la separi da qualsiasi possibilità di confronto diretto, dalla socialità. Nell'anoressia nervosa la condizione di sottopeso e l'obbligo di non disperdere energie inutilmente contribuiscono all'isolamento. Famiglia, amici e conoscenti si trovano disarmati, non sanno come agire. Non credo di aver superato totalmente la paura dell'emarginazione ma ho fatto di tutto per combatterla con strumenti che mi appartenevano e che si sono rivelati vitali. Sono una persona creativa, curiosa, affamata di stimoli. La mia formazione è stata piena di bivi che mi hanno portata ad essere professionalmente completa. Tanto mi attrae e mi tiene compagnia nei momenti difficili. Amo le arti: la musica mi ha salvato la vita e la letteratura, con i libri, mi dona quello di cui ho bisogno».

Perfetto, per una bibliotecaria!
«Sì, le storie sono la mia più grande passione. Ci sono due modi per vivere la lettura: quello legato allo svago che serve al lettore per staccare la mente e quello legato alla crescita. Preferisco quest'ultimo: dalle riflessioni insite in saggi e biografie possiamo imparare tantissimo. Quando ero sottopeso dedicavo ore e ore ai libri poiché non avevo più le forze per suonare e praticare altre attività. Ogni giorno mi promettevo che un domani sarei stata capace di reinserirmi nel mondo. Difficilmente quando si è in pericolo di vita si fanno progetti ma aggrapparmi alla speranza mi ha permesso di non lasciarmi divorare dalla malattia».

A quali progettualità sta lavorando ora?
«Trasformare un momento difficile in un tesoro da condividere non è semplice. Sto ancora cercando di capire come divulgare le informazioni con efficacia, generando interesse su argomenti vicini solo a chi li ha vissuti. Vorrei fare di più. Ho messo in campo però la promozione della lettura: il 2 giugno 2023 ho dato vita a "B.Lù si tinge di lilla" una rubrica settimanale, esce il venerdì (con "Nel blu dipinto da B.Lù" dedica ogni martedì agli albi illustrati ndr). Uno spazio sui miei canali social con cui propongo libri che trattano i disturbi alimentari per diffondere testimonianze e mettere a disposizione strumenti utili a documentarsi».

Cosa vorrebbe dire a chi sta affrontando un simile periodo?
«Non sei solo/a».
E tu, Luci, hai sempre me. Tu mi ringrazi nel libro, io ringrazio te sulle "mie" pagine.

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