Hoag, dal football alla Diatec con il sogno scudetto

di Maurilio Barozzi

Mentre noi trentini esportavamo scienziati della politica in Quebec a dar lezioni sull'autonomia speciale nelle zone di confine, Nicholas Hoag partiva da Gatineau, dalle parti di Ottawa, per raggiungere l'Europa a cercar fortuna nella pallavolo. E, dopo quattro anni in Francia e uno a Milano, eccolo approdare alla Diatec Trentino. Se in Canada la sua terra era una terra di Giubbe rosse, Zagor e Grande Blek, lui non ha niente a che vedere con gli erculei supereroi dei fumetti che hanno trovato a nord dei Grandi Laghi le radici per diventare miti. In campo, Nicholas si fa apprezzare per un servizio robusto e costante, oltre ad una importante efficienza in attacco. Non è appariscente, si diceva, ma - da buon studente di management - bada al sodo. Anche esteticamente non concede molto, ma quel che importa è la sua efficacia: a differenza di Zagor, Nicholas tiene quasi sempre le braccia coperte dai manicotti però le sue bombe al servizio sono un buon biglietto da visita. 

Se - oltre dei fumetti di Zagor - sei innamorato delle veroniche di Ngapeth, delle magie di Juantorena, della potenza di Zaytsev, il gioco di Hoag ti potrebbe anche sembrare anonimo. Ma alla fine i suoi numeri raccontano astuzia e costanza. Quella che magari non ti fa diventare una bandiera ma serve per costruire con pazienza la classifica, come una robusta staccionata mentre fuori piove, in Irlanda. Non a caso il suo posto preferito. «Ho trovato che la vita in Irlanda sia stupenda. L'ho conosciuta l'estate scorsa, ad agosto, e mi sono innamorato: i pub, le persone simpatiche ma non invadenti e i paesaggi sono davvero meravigliosi. È il più bel posto che ho visto finora», racconta.
Tra autonomia del Quebec, fumetti e pallavolo, Hoag è approdato quest'estate nelle terre di Cesare Battisti e Prima guerra mondiale. Come il Quebec, terra di frontiera e laghi. E proprio i laghi sono i luoghi che attirano di più Hoag, oltre alla palestra, naturalmente. «Forse da me, a Gatineau, ci sono meno montagne rispetto a quanto ci sia in Trentino ma, come qui, abbiamo vicino i laghi. Durante i miei giorni liberi dagli allenamenti sono andato a vedere quello di Tovel e quello di Garda. Bellissimi. Ho fatto anche un salto in Slovenia a trovare mio padre a Bled. Anche lì c'è un bel lago». 

Acqua e paesaggi a parte, in questo periodo Nicholas vive un momento di grande soddisfazione pallavolistica: arrivato a Trento dopo una stagione senza troppi onori a Milano (con la sua squadra che ha terminato all'ultimo posto della Superlega), lo schiacciatore canadese doveva fare il terzo a Pippo Lanza e Uros Kovacevic. Ma, complice anche un paio di infortuni patiti dal serbo, Nicholas, classe 1992, si è trovato a vestire spesso la maglia di titolare in posto quattro. Ed ha spesso giocato piuttosto bene. «Mi sento in forma. Io auguro a Uros di stare benissimo e quello che voglio fare in questa squadra è dare il mio contributo per raggiungere l'obiettivo finale che è quello di vincere lo scudetto. Sono qui per questo» racconta con una certa sicurezza Hoag. E, considerando l'inizio non certo brillante della Diatec Trentino, per ottenerlo ci vorrà un prosieguo di stagione degno di Zagor. Ma lui non fa una piega e a fargli notare che per raggiungerlo servirà uno sforzo titanico, lui annuisce. 

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Sul suo futuro a breve, Nicholas ha le idee chiare. Primo: pallavolo. «Non ho nessun hobby fuori dal volley, salvo quello di leggere. Ma non mi piacciono i romanzi, preferisco concentrare le mie letture su tematiche che mi aprano un futuro: solitamente mi dedico a libri di Economia e di Psicologia». Del resto è iscritto all'Università, in Canada e così cerca di ottimizzare il suo tempo libero: «Seguo due corsi universitari, uno in management e un altro di matematica finanziaria. Lavoro su internet ma senza grandi pressioni: devo concludere i corsi entro aprile e così posso prendermela abbastanza comoda». C'è anche Gill nella sua vita, la fidanzata di Ottawa, che fa la contabile e così in qualche modo i conti sono un'attività di casa. Lui sorride e racconta che Gill è stata a trovarlo in Trentino nei giorni scorsi, ma poi torna a parlar di volley. «In realtà ora penso solo alla pallavolo. Le altre attività mi servono per ampliarmi le possibilità quando la mia carriera sarà terminata: cerco di aprirmi più porte possibile perché ora non ho proprio la minima idea di quel che farò dopo». 

Come i vecchi trapper canadesi, aprirsi strade e percorrerle con tenacia, è stato un po' il suo forte fin da quando era giovane. Da adolescente non era molto alto e così a scuola si era avvicinato a diversi sport. C'era anche la pallavolo, certo - con papà, mamma e fratello maggiore pallavolisti -, ma non era l'unico. «Durante la high school giocavo a football americano. Facevo anche un po'di pallavolo, sport che ho cominciato ad avvicinare già a sette anni, e di basket, ma fino a diciassette anni ero piccolino e così non sapevo se avrei avuto un futuro nel volley o meno. In questo i miei genitori sono sempre stati molto chiari: volevano che praticassi molti sport senza soffermarmi su uno in particolare. Mi dicevano che avrei scelto più avanti, con calma. E così è stato». L'ultimo anno di high school Nicholas ha optato definitivamente per il volley, facendo la naturale felicità dei genitori, e l'anno dopo era a Sherbrooke - a tre ore e rotte di strada da casa, a est di Montreal -, per giocare nel Cegep. 

La sua permanenza lì è durata quattro anni e poi, nel 2013, è partito per l'Europa, in Francia, accasandosi al Tours dove ha conquistato un paio di campionati (un terzo lo conquisterà nel 2016 a Parigi), due coppe di Francia e una Supercoppa francese. In Francia irrobustisce la sue esperienza come giocatore e si abitua anche a star lontano da casa. «Anche se i miei amici mi mancano moltissimo: adoro il mio Paese e mi spiace moltissimo di poterci stare solo un paio di mesi all'anno visto che tra campionato e partite con la Nazionale canadese non mi resta molto tempo da trascorrere in Quebec». 

In Francia, ha anche affinato la sua passione per il cibo, anche se il suo piatto preferito sembra proprio un trionfo trentino: coniglio col vino bianco. «Mi piace cucinarlo così, è la mia passione. Il sughetto che ne esce a cuocerlo con il vino bianco è spettacolare. Mi piacciono anche altri tipi di carne mentre la pasta non mi fa impazzire. È strano a dirsi, in Italia. Però è così». Niente pasta, dunque. Ma la voglia di rimanere in Italia c'è tutta. Sorride e precisa di avere un solo anno di contratto ma ribadisce di puntare allo scudetto: «Siamo una squadra forte, unita, giovane e aggressiva e penso così che possiamo dire senz'altro la nostra per arrivare in fondo». Ora staremo a vedere se sarà una promessa vera, da Zagor. O se invece parla con lingua biforcuta.

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