Caso Pantani, i familiari insistono "Contro Marco c'è stato un complotto"

Il caso della morte di Marco Pantani, il ciclista che venne trovato senza vita nella notte di San Valentino del 2004 in una stanza di un residence romagnolo, continua a far discutere soprattutto per la richiesta di vederci chiaro da parte dei legali della famiglia, che sostengono che Marco venne ucciso o che ci furono interventi di estranei nel causarne il decesso (oltre i pusher condannati per la cessione della sostanza stupefacente).

Sono stati sentiti come persone informate sui fatti i tre medici Uci - Michele Partenope, Eugenio Sala e Mario Spinelli, in servizio all'ospedale San'Anna di Como - che fecero il prelievo del sangue a Marco Pantani il 5 giugno '99 a Madonna di Campiglio, in albergo e oltre a lui anche altri nove corrodiri i cui livelli erano tutti entro il limite di 50, in base al quale il Pirata fu escluso dal Giro d'Italia che stava dominando per l'ematocrito alto, sopra a 50, la soglia oltre la quale venivano considerati rischi per la salute. Gli interrogatori durati a lungo sono nell'ambito dell'inchiesta condotta dal procuratore di Forlì-Cesena, Sergio Sottani, e dalla sostituta Lucia Spirito, che hanno riaperto il caso che fu archiviato sul presunto complotto che sarebbe stato ordito ai danni del campione di ciclismo Pantani.

L'ipotesi con cui stanno indagando è l'associazione a delinquere finalizzata alla truffa sportiva. Ma viene ventilata l'estorsione, che farebbe allungare i termini della prescrizione. «Noi abbiamo molta fiducia nel lavoro dei magistrati di Forlì». È questo il commento sull'inchiesta della Procura di Forlì dell'avv.Antonio De Rensis, il legale che assiste la famiglia di Marco Pantani, che un anno fa ha fatto riaprire l'inchiesta di Rimini sulla morte del Pirata, avvenuta il 14 febbraio 2004 in un residence a Rimini. L'indagine riminese sarebbe avviata ad una nuova archiviazione dopo che sarebbe stato stabilito che Pantani non fu ucciso, ma morì per un sovradosaggio di antidepressivi. «Per quanto riguarda l'inchiesta di Rimini - ha però precisato De Rensis - voglio ricordare che è ancora aperta e non c'è stata nessuna richiesta di archiviazione. A dicembre sembrava chiusa, siamo a metà maggio ed è aperta. Io penso che il modo migliore per affrontare questa vicenda sia dedicarsi al lavoro e, con fiducia negli inquirenti, affrontare passo dopo passo. Il nostro stato d'animo non è cambiato quando a dicembre abbiamo letto che era tutto finito e non è cambiato adesso nel vedere che c'è chi indaga. Sappiamo che c'è da indagare e abbiamo fiducia».

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