«Con le cure mirate si può salvare più vite dai tumori»

A che cosa serve un premio scientifico? Domanda legittima, per Enzo Galligioni, per vent’anni primario di Oncologia medica al Santa Chiara e ora presidente del Premio Pezcoller, che risponde: «Per dare forza alla ricerca nella competizione contro la malattia. Premiare gli sforzi di chi fa ricerca è di stimolo per tutti». L’inglese di nascita e americano d’adozione Anthony Rex Hunter, professore presso il Salk Institute for Biological Studies dell’Università della California a San Diego, è il premiato di quest’anno, scelto tra 36 candidati da un comitato scientifico internazionale.

Settantacinquemila euro il valore del Premio Pezcoller, istituito esattamente trent’anni fa (in origine fu biennale): è annuale dal 1997, quando ha ricevuto il riconoscimento e la validazione dell’American Association for Cancer Research. Hunter, barba sapienziale e modi accattivanti, ha 75 anni ed è figlio di un medico e nipote di un dentista. In famiglia ha maturato la curiosità per come funziona il corpo umano. Nel suo discorso di ringraziamento, davanti alla platea piena del Teatro Sociale di Trento, ha ricordato come non brillasse in matematica e i suoi primi esperimenti fossero stati un fallimento. Specializzatosi in biochimica a Cambridge, ha lavorato a lungo sulla sintesi proteica per capire come, identificando le proteine codificate da virus, le cellule «normali» diventassero tumorali.

Alla fine degli anni Settanta la scoperta che gli è valsa ora il Pezcoller a Trento: il processo di fosforilazione della tirosina. Hunter, in sostanza, è riuscito a isolare una proteina, la «tirosina kinasi», che agisce come un interruttore nell’attivare o meno alcune proteine e responsabile, in caso di malfunzionamento, della proliferazione di cellule tumorali. «Una scoperta paragonabile a quella dell’America da parte di Cristoforo Colombo - spiega entusiasta il professor Galligioni - perché ha svelato un mondo nuovo e aperto la strada a farmaci incredibili, per terapie biologiche che hanno affiancato la chemioterapia».

Proprio a uno dei padri della chemioterapia, De Vita, andò il primo Premio Pezcoller nel 1988. Era in vita Alessio Pezcoller, il medico trentino (nato a Rovereto da padre badiota e madre venostana), classe 1896 e scomparso 25 anni fa, che ha creato la Fondazione che ancor oggi porta il suo nome e «ha reso il Trentino ancora più aperto al mondo anche in un campo, quello biomedico, in cui la nostra provincia era storicamente periferia ignota» come ha osservato il presidente onorario della Fondazione, Gios Bernardi.

Oggi ci sono i premi, i convegni, le borse di studio internazionali nel nome di quel medico schivo, rigoroso, lungimirante, che ha messo sotto il suo patrimonio a disposizione della ricerca scientifica. «La ricerca medica è un antidoto al declinismo imperante» ha commentato il presidente dell’Ordine dei medici, Marco Ioppi. L’assessore provinciale alla salute Luca Zeni ha ricordato che i tumori (2800 nuovi casi in Trentino ogni anno), insieme alle malattie cardiovascolari, non solo sono la principale causa di morte ma implicano un forte coinvolgimento emotivo e sociale. Fare ricerca significa farsi domande.

L’arcivescovo di Trento, monsignor Lauro Tisi, fotografa così il senso della ricerca scientifica: «L’Uomo è grande quando fa domande, non quando mette punti esclamativi autoreferenziali».
Ma a che punto è oggi la ricerca sui tumori? «Abbiamo approfondito moltissimo le basi molecolari - ha concluso Hunter - ma siamo ancora lontani dallo sconfiggerlo. Ogni tumore è diverso. Oggi si guarisce molto di più. Ma ci sono cambiamenti genetici in ogni tumore, che impongono cure appropriate e mirate».

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