La birra artigianale diventa business

di Chiara Turrini

Anche in Trentino piace la bionda, meglio se artigianale: in tutta la provincia negli ultimi anni si sono moltiplicati i piccoli birrifici, passando dai due dei primi anni 2000 ai 24 di oggi. Ricette diverse, sapori nuovi dalla classica ricetta che unisce acqua, lievito, malto d’orzo e luppolo: la birra diventa così una bevanda nobile, attira un pubblico curioso di sperimentare, e il business si diffonde.

Più attenzione a ciò che si beve, maggior interesse per la genesi del prodotto e una grande versatilità sulle tavole: la birra è ormai di moda, offre un ampio spettro di abbinamenti e sapori e per questo crescono i numeri in questo settore imprenditoriale. La maggior parte dei birrifici trentini è condotto da giovani imprenditori, che a volte iniziano per gioco, arrivando poi a vendere il proprio prodotto in Italia o addirittura all’estero.

«In realtà in Trentino la birra si è sempre prodotta - spiega Paolo Negri, fondatore del sito www.trentinobirra.it, prima realtà che raccoglie le esperienze dei birrifici trentini e promuove la cultura del bere di qualità - ci sono perfino località chiamate Birrificio. Il nostro territorio ha respirato l’influenza germanica in questo campo, ma oggi le cose sono molto cambiate. C’è cura e attenzione».

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La scuola tedesca della lager non è l’unica in Trentino, anzi. Hanno preso piede tutti gli stili, che anche qui vengono prodotti, «e con una grande qualità» aggiunge Negri: ci sono le Ipa inglesi, le Pils originarie della Repubblica Ceca e più simili alle birre industriali, le birre d’abbazia nate nei monasteri trappisti del Belgio, le American Pale Ale create negli Stati Uniti usando luppoli speciali dai sentori più resinosi e agrumati. L’Italia invece ha regalato al mondo della birra la Italian Great Ale, che nella ricetta aggiunge il mosto d’uva, imbottigliando un prodotto che fa da ponte tra vino e birra.

In Trentino si coltiva anche il luppolo e alcune aziende lavorano le proprie materie prime, come ad esempio il birrificio di Fiemme, nato nel 1998, che usa cereali e luppolo autoctoni. In Primiero invece si produce una birra con il luppolo fresco al posto del tradizionale essicato. Gli stili di birra sono codificati, ma il mondo artigianale accetta variazioni sul tema, per esempio l’aggiunta alla ricetta di ingredienti locali aromatici, erbe e fiori, per conferire profumi nuovi e ricercati.

«Tante di queste aziende hanno appena intrapreso l’attività e i numeri sono piccoli, ma c’è un grande potenziale» continua il direttore di Trentino Birra.

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Paolo Negri, una laura in scienze ambientali e diverse esperienze all’estero, è da sempre appassionato dell’arte brassicola. «La scorsa primavera ho deciso di scrivere di questa mia passione, una cosa nata per gioco, e invece c’è stata subito una bella risposta, disponibilità a collaborare da parte dei birrifici trentini» dice Negri.

«C’è grande interesse, e tra un paio di settimane prenderà il via il primo corso di degustazione di Unionbirrai, in collaborazione con il nostro sito e l’Angolo dei 33 - ricorda poi Negri - In Italia non esiste la figura del sommelier della birra, altrove sì. C’è però una buona richiesta di conoscere e approfondire questo tema». La promozione della cultura brassicola esce dall’online e si concretizza in incontri ed iniziative. Oltre ai corsi di degustazione, anche viaggi nelle capitali europee della birra. «Sarebbe bello organizzare una manifestazione dedicata alla birra a Trento, che ora manca. In questo modo di potrebbe anche promuovere un sistema, una rete tra produttori che potenzierebbe queste realtà».


 

EXPORT VERSO IL GIAPPONE

Il boom dei birrifici artigianali trentini si è registrato nel 2015, anno in cui sono nate otto nuove aziende. Nel 1999 ce n’era una sola, nel 2011 erano cinque, mentre oggi se ne contano 24.

La produzione è ridotta, con la maggior parte delle imprese che imbottigliano fino a 250 ettolitri di bionda. «Si pensi solo che mediamente si fanno circa 600 ettolitri - spiega l’esperto Paolo Negri - e questo perché si tratta di realtà recenti, appena avviate, che puntano ad aumentare i volumi».  

L’Annuario Trentino della Birra 2017 è uscito a fine novembre e si trova nelle librerie di tutto il Trentino. Edito da Wasabi, racconta lo stato dell’arte della produzione artigianale locale, completo di numeri, storie e informazioni dettagliate sulle birre. Da esso si scopre anche che il canale principale di distribuzione del prodotto, con il 32%, è il birrificio stesso, che vende al dettaglio al pubblico. Ristoranti e bar sono il secondo canale preferito, quasi al 23%, poi ci sono gli eventi specializzati e le enoteche. Solo il 5% dell’intera produzione arriva nei supermercati e nella grande distribuzione.

Il mercato principale della birra artigianale è quello locale. «La sfida dei prossimi anni è quella di uscire dal Trentino» dice Negri. Alcuni ce l’hanno fatta: il birrificio Rethia, di Vezzano, è sbarcato in Giappone con otto bancali di birre Maria Mata e Magnolia, grazie all’incontro con Bottega Baci, una società giapponese che importa prodotti italiani di qualità.

La birra Rethia sarà spinata dal cassone di un Ape Piaggio customizzato appositamente, per portare letteralmente in giro l’arte brassicola trentina. Non solo estero, anche penetrare il mercato nazionale è da considerarsi un successo: «Il birrificio del Primiero è arrivato sul mercato siciliano, il 5+ di Trento vende in Umbria e nelle Marche» spiega Paolo Negri.

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