Protocollo sui pesticidi, la Uil: «Servono i fatti»

Il segretario Walter Alotti critica il protocollo sui fitofarmaci firmato ieri

La Uil del Trentino commenta con un comunicato stampa, firmato dal segretario generale Walter Alotti, il protocollo sui fitofarmaci firmato ieri dagli assessori Dallapiccola, Zeni e Gilmozzi con l’Apot (l’associazione dei produttori ortofrutticoli), il Consorzio vini del Trentino, la Fondazione Mach, l’Azienda sanitaria e l’Agenzia per l’ambiente.

Il comunicato

«I provvedimenti concreti scarseggiano poiché sanzioni per chi “sgarra” non ce ne sono e quel poco di buono che emerge, come il concetto di “produzione integrata volontaria”, è farina del Pan (Piano d’azione nazionale)». Come Uil del Trentino, quindi, siamo d’accordo con Vigilio Pinamonti della Fondazione Mach nel definire questa mera “dichiarazione d’intenti” un’inutile e troppo generica «fotografia dell’esistente» senza innovazioni di sorta. Sostanzialmente, a fronte di tante promesse e “tronfietà” - «in Trentino viene effettuato il doppio dei controlli rispetto al resto d’Italia» (peccato che i nostri limiti restino tra i più blandi del Paese), «l’attività di monitoraggio sarà più organica e strutturata rispetto ad oggi», «manterremo un impegno costante nel tempo» - a fronte di tutto ciò, insomma, manca la benché minima garanzia. Il famigerato chlorpyrifos (all’origine degli scarsi indici di qualità dei nostri corsi d’acqua), per dirne una, è ancora consentito per legge e dobbiamo accontentarci dell’impegno, affatto vincolante, a usarlo di meno. I diserbanti, poi, sono ormai considerati non più pericolosi in seguito ad un intervento dell’Efsa (l’autorità europea per la sicurezza del cibo) con buona pace del recente pronunciamento dell’ Iarc (Agenzia internazionale sulla ricerca sul cancro) secondo cui il glisofato è, invece, cancerogeno.

Su alcuni fronti il Trentino potrebbe essere davvero innovativo, basti pensare al caso Vallarsa (con l’obbligo di assicurazione contro danni a terzi per chi non coltiva o alleva con metodi biologici) o Malosco (limite di 50 metri da aree verdi, scuole e asili per utilizzo dei prodotti fitosanitari), ma si preferisce dare adito a tesi assurde come quelle secondo cui «non possiamo permetterci di perdere un raccolto per delle scelte sbagliate» e «aumentare la distanza minima tra i frutteti
 irrorati e le abitazioni significherebbe un 
cambiamento drastico delle geografia agricola 
provinciale».

C’è, infine, un altro aspetto decisivo. Possiamo anche accettare il criterio che sia il mercato a sanzionare, ma non se a questo precetto si accompagna una comunicazione tutta tesa a “non demonizzare” i fitofarmaci. Non si può firmare un “patto col diavolo” (quella potente lobby di agricoltori che, senza vincoli concreti, ha tutto l’interesse a operare impunemente in funzione del profitto) e poi chiedere di “non demonizzare”. Bisogna allontanare la chimica dai frutteti e vigneti perché il rischio di ammalarsi di tumore è concreto, punto e basta. Questo deve essere un caposaldo se si vuole cambiare la mentalità dei consumatori che, inevitabilmente, si rifletterà sui produttori.

Altrimenti, a forza di sentire le favole raccontate da gente come Gabriele Calliari, presidente della Coldiretti provinciale e autore dei precedenti virgolettati, finiremo per mangiare la mela avvelenata di Biancaneve, e non sarà certo un manipolo di “nani” che firma minuscoli e insignificanti accordi a salvarci».

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