Quando Dellai «respinse» Mattarella

di Paolo Micheletto

Quando Dellai (e l’allora segretario dei Popolari, il senatore Vittorio Fravezzi) dichiarò guerra al prossimo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Bisogna andare indietro negli anni, fino al 2001, per ricostruire l’episodio: fu uno scontro durissimo. Che naturalmente (sono tutti ex democristiani) non ha lasciato conseguenze: sia Dellai che Fravezzi in questi giorni votano Mattarella e saranno i primi a complimentarsi con lui nel caso di elezione sul Colle.
Sergio Mattarella, fiero siciliano, uomo di punta per decenni della Democrazia cristiana, più volte ministro, è pure il padre di un sistema elettorale (il «Mattarellum» appunto).

Uno «strumento» che per l’elezione dei deputati prevedeva una quota del 75% di eletti nei collegi e un 25% di eletti nel proporzionale. C’era quindi un mini listino (che purtroppo alle ultime elezioni è diventato un listone) dove i «big» venivano parcheggiati e potevano pure andare in vacanza, sicuri dell’elezione se avevano il primo posto. Come poi abbiamo imparato bene noi elettori, poteva tranquillamente accadere - quindi - che un siciliano venisse sistemato nel proporzionale del Trentino Alto Adige e risultasse regolarmente eletto: nessuno, infatti, doveva scrivere il suo nome.

Ma torniamo nell’aprile del 2001. Cerchiamo di ricordare i tempi. Lorenzo Dellai nel 1998 aveva vinto le sue prime elezioni provinciali e, dopo un inizio faticoso e tormentato, governa senza particolari problemi. Il presidente vive un feeling particolare con Roma e con i palazzi romani: il Partito popolare in tutta Italia è destinato ad un inesorabile declino ma lui è «andato oltre», trasformando il Ppi nella Margherita e conquistando percentuali che a Roma si sognano. Dellai rafforza il suo legame con l’allora giovanissimo Enrico Letta e tra i Popolari capiscono che «quella» Margherita è un’esperienza che può diventare nazionale. Successo clamoroso per Dellai, che «regala» la sua creatura agli stanchi politici della capitale: un ex sindaco di una città tra i monti che offre un giocattolino niente male, con potenzialità ben superiori rispetto al solo partito erede della Democrazia cristiana.

A Roma però sono ancora furbi. O più cinici dei trentini, se vogliamo. Dopo aver ringraziato Lorenzo Dellai per aver offerto la Margherita e averla messa a disposizione per le schede nazionali, succede che il posto nel proporzionale viene assegnato a Mattarella: un gesto di rispetto, un inchino nei confronti di un ministro che, da buon collezionista di legislature, non può permettersi di correre solo nei collegi uninominali, ma deve avere l’elezione garantita. Quindi: caro Mattarella, vai a fare un paio di comparsate in Trentino, o meglio in Alto Adige dove ti accolgono più volentieri, e ci rivediamo in Parlamento, tanto da quelle parti un deputato lo facciamo di sicuro, noi della Margherita.

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Uno «schema» nemmeno tanto nuovo, nel mondo della politica. Ma Dellai non la prende per niente bene, perché pretende un deputato dei suoi. Quel posto era già stato promesso a Tarcisio Grandi, forse già dai tempi del leggendario congresso di Comano da cui tutto è partito, nella carriera «extra Trento» di Dellai.

Succede quindi che il presidente della Provincia decide di giocare la sua partita fino in fondo. Magari sicuro che ormai Mattarella non si muoverà, Dellai attacca e fa raccogliere le firme a sostegno di Tarcisio Grandi. E mercoledì 3 aprile parla con il cronista dell’Adige con accenti da vero autonomista: «Vi è un limite invalicabile - spiega - ed è il rispetto della dignità delle esperienze territoriali tramite le quali, negli ultimi anni, la politica ha cercato di riorganizzarsi a partire dagli interessi concreti della gente». E ancora: «La Margherita trentina ha accolto molto favorevolmente la nascita della Margherita nazionale e ha sperato che debolezze e tardività del processo nazionale potessero essere superate. Ma non accetto che per l’unica candidatura sul proporzionale della nostra Regione il nome che democraticamente la Margherita ha deciso in sede locale venga accantonato e sostituito con uno frutto di alchimie ed equilibri nazionali».

Chissà se Mattarella salirà al Colle grazie al «frutto di alchimie nazionale»: forse sarà il primo a non offendersi. Vittorio Fravezzi viene addirittura convocato da Rutelli, ma anche davanti al grande capo il segretario non arretra: e spiega perché a Trento vincono e altrove perdono.

Dopo lo scontro tra Trento e Roma, naturalmente vincono le segreterie nazionali e la candidatura di Tarcisio Grandi viene cancellata, per lasciare spazio ad un possibile presidente della Repubblica, che qualche settimana dopo diventa un deputato in rappresentanza del Trentino Alto Adige. Giusto un paio di passaggi sulle emozioni vissute da Mattarella durante quei giorni di grande tensione. Per capire che alzare la voce non sempre serve, e che è meglio vincere con classe: «Ogni tensione non riassorbita può creare contraccolpi. Ma in questo caso il dissidio è tra la Margherita nazionale e quella di Trento, io non c’entro», spiega l’allora ministro. Il giorno in cui diviene ufficiale la sua candidatura, «l’Adige» pubblica un’altra frase non proprio mirabolante di Mattarella: «Dichiarazioni? No, prima voglio rifletterci». Silenzio, e poi: «Vedremo».
Certo, solo un episodio, nella lunga e qualificata carriera dell’attuale giudice della Corte costituzionale. Dal 2001 il mondo non è più lo stesso, pure la politica ha avuto qualche scossone ma Mattarella c’era allora e c’è oggi, coerente con il suo personaggio freddo e distaccato.

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