Il padre di Aylan a Kobane per seppellire la famiglia

Adesso che il piccolo Aylan e il suo fratellino Galip non ci sono più, come pure la loro mamma Rehan, Abdullah Kurdi vuole solo restare a Kobane a vegliare sulle loro tombe. Il padre del bimbo che con la sua foto dopo l'annegamento è diventato il tragico simbolo della crisi umanitaria dei migranti è tornato oggi nella martoriata città curdo-siriana, simbolo mondiale della resistenza all'Isis, per seppellire la sua famiglia. Un drammatico viaggio a ritroso che mai avrebbe voluto fare, ma che ora diventa il suo punto d'arrivo. Perchè, racconta il fratello Suleiman, lui "voleva andare in Europa solo per il bene dei suoi figli". A Kobane c'è arrivato accompagnato da una delegazione di deputati turchi, e da lì non si muoverà più. Ora Abdullah non è più in cerca di un altro futuro: "Mia sorella vive in Canada. Le autorità canadesi mi hanno chiamato per chiedermi se volevo seppellire mia moglie e i bambini in Canada, ma non ho accettato. Voglio seppellirli a Kobane", aveva spiegato.

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E così è stato oggi per Aylan, 3 anni, Galip, 5, e la loro mamma. Ad accoglierne le spoglie è la polverosa terra battuta del 'Cimitero dei martirì, chiamato così per ragioni diverse eppure tremendamente appropriato al loro destino. "Pagherò il prezzo di tutto questo per il resto della mia vita", ha detto Abdullah, sopravvissuto al naufragio, portando a braccia i corpicini dei suoi figli fino alla loro tomba. Da Kobane erano fuggiti insieme a giugno, dopo che l'Isis era tornato ad attaccare la comunità capace di sconfiggerlo a gennaio, al termine di mesi di combattimenti. Le controversie irrisolte con le autorità canadesi, che hanno negato di aver ricevuto una richiesta formale di asilo dalla famiglia di Abdullah e spiegato di aver registrato solo quella di un altro suo fratello, per lui sembrano ormai contare poco. Non andrà Oltreoceano nè tornerà in Turchia, dove pure gli sarebbe stato offerto riparo. Quello che gli importa, invece, è che la morte dei suoi piccoli serva almeno a scuotere le coscienze di chi, in un modo o nell'altro, avrebbe potuto evitarla: "Voglio che i governi arabi - non i Paesi europei - vedano i miei bambini, e grazie a loro aiutino le persone". Ma oggi quell'immagine continua a interrogare proprio l'Europa, che sembra ancora non sapere come rispondere alla speranza di Abdullah: "Vorrei almeno che i miei figli fossero gli ultimi a morire in questo modo".

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