Referendum in Grecia, scontro politico rovente

Si susseguono le prese di posizione, specie dai vertice Ue a favore del sì, a meno di 48 ore dal referendum greco, Alexis Tsipras rassicura affermando che in ogni modo si arriverà, comunque vada il voto, a un accordo con i creditori entro un paio di giorni dopo la consultazione popolare. I governi europei, compresi quelli di centrosinistra, continuano il pressing sui cittadini greci affinché sostengano il piano proposto dall’Eurogruppo.

Tsipras dice che una vittoria del no non comporterebbe un’uscita della Grecia dall’euro o dall’Ue. Per Juncker, invece, un no dei greci sarebbe un no all’Europa.
È difficile, in questi giorni di tensione, distinguere i messaggi pre-elettorali dei politici dagli scenari reali che Atene si troverà di fronte da domenica sera in poi. C’è chi, come il ministro delle finanze Yanis Varoufakis, scommette che con un ‘nò il negoziato sarebbe improvvisamente più semplice e chi, come il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, sostiene invece che il Governo sta sbagliando i suoi calcoli. E si fanno già i conti con lo scenario peggiore: secondo Standard & Poor’s gli effetti dell’eventuale Grexit saranno “gravi per la Grecia” ma “contenuti” per l’Eurozona.

SE VINCE IL SÌ. È lo scenario auspicato da leader europei ed istituzioni, ma non è detto che sia il più rapido. Il Governo dovrebbe dimettersi, Varoufakis lo ha ribadito anche oggi, e si dovrebbe trovare in fretta una nuova maggioranza che torni al tavolo con i creditori e firmi in fretta la ‘resà incondizionata. Se non vi fosse una nuova maggioranza, dovrebbe entrare in gioco un Governo di unità nazionale, per affrontare l’emergenza e firmare per ottenere gli aiuti prima del 20 luglio, quando scadono gli oltre 3 miliardi verso la Bce e il default sarebbe automatico. Poi si dovrebbe tornare alle elezioni, e se vincesse di nuovo Syriza?

SE VINCE IL NO. È l’opzione che più spaventa, piena di interrogativi sul futuro. Tsipras ha detto che tornerebbe il giorno dopo al tavolo del negoziato, per raggiungere un’intesa diversa da quella proposta dai creditori finora. Il premier è convinto che l’Ue non potrà non tenere conto della volontà di un intero popolo. Una circostanza che, paradossalmente, potrebbe anche slegare le mani alla Merkel dandole un’argomento molto forte di fronte al Bundestag. Un conto è tenere testa ad un Governo, un conto è farlo con un intero Paese che esprime la sua legittima opinione. Ma le istituzioni, come anticipato da Juncker, potrebbero anche interpretare un ‘nò come un rifiuto dell’Ue in generale: a quel punto, potrebbero chiudere la porta anche al negoziato per un nuovo salvataggio. Spingendo il Paese verso la temuta Grexit. La Merkel, però, ha sempre sottolineato che il dialogo non si interromperà nemmeno in caso di vittoria del no.

Frattanto, in queste ore in Grecia si registrano segnali crescenti della preoccupazione e dell'incertezza regnante.
La comitiva di turisti nordeuropei che attraversa in bicicletta i Giardini Nazionali accanto al parlamento greco si ferma di botto, sentendo che dalla strada accanto al parco arrivano slogan rabbiosi.
«Ma c’è una rivolta in corso?», chiede uno di loro, molto preoccupato. «No, è il modo dei greci di manifestare», lo tranquillizza un compagno di pedalata che vive ad Atene. La manifestazione è della sinistra antagonista della coalizione Antarsya, qualche centinaio di dimostranti, che urlano per il no al referendum sotto al ministero delle Finanze.

Poco più tardi, alcune centinaia di militanti di Syriza passano vocianti per la commerciale via Ermou, scandendo slogan e distribuendo volantini ai passanti. In serata il movimento socialdemocratico Kidiso dell’ex premier George Papandreou scende in piazza davanti al municipio di Atene. Loro sono per il sì.

Questa è Atene, a due giorni dal referendum, alla vigilia delle due manifestazioni principali e contemporanee stasera del fronte del sì e del no nel centro della capitale, una nello stadio che ospitò le prime Olimpiadi dell’era moderna, il Kallimarmaro, l’altra nella tradizionale piazza Syntagma. Capitale di un Paese di fatto paralizzato non solo dall’attesa spasmodica per il voto, ma anche e soprattutto dal blocco delle attività bancarie (che forse domani si allenterà un po’, alcuni istituti hanno detto che apriranno per consentire alcune operazioni, anche se il limite ai prelievi resta di 60 euro e 120 ogni due giorni per i pensionati senza bancomat).

L’introduzione dei controlli sui capitali lunedì scorso sta infatti avendo un profondo impatto sull’economia e la vita della Grecia, con migliaia di persone anche oggi in fila ai bancomat e molte imprese che non sono più in grado di lavorare. Parecchie aziende, infatti, si rifiutano di accettare carte di credito in quanto i loro fornitori richiedono i pagamenti in contanti temendo gli effetti di un fallimento.

Anche le stazioni di servizio si trovano ad affrontare la mancanza di carburante - c’è stata qualche chiusura nelle isole - in quanto molti loro proprietari non sono in grado di pagare online i fornitori e gli automobilisti si affollano alle pompe per riempire di benzina i serbatoi dei loro veicoli. Per cercare di ovviare almeno a questo problema, il ministero dell’economia, infrastrutture, trasporti e turismo ha annunciato che i proprietari delle stazioni di servizio saranno in grado di effettuare transazioni online per pagare i fornitori.

E anche il turismo, settore che ha ben retto gli anni della crisi, comincia ad essere in affanno: Andreas Andreadis, presidente dell’Associazione delle imprese turistiche greche (Sete) denuncia un calo drastico nel numero delle prenotazioni, e molte cancellazioni.

Nel frattempo, la politica greca è tutto un susseguirsi di dichiarazioni per uno schieramento o l’altro, polemiche e risposte che evidenziano la divisione profonda del Paese nei turbolenti dibattiti in tv.

E il fronte del no guidato dal premier Alexis Tsipras e dal ministro delle Finanze Yanis Varoufakis (che ha detto che si dimetterà se vince il Sì), subisce alcuni colpi: tre deputati di Greci Indipendenti (Anel), il partito di destra che fa parte della coalizione di governo, hanno detto di aver cambiato idea sul referendum ed uno di loro, Costas Damavolitis, ha annunciato che voterà sì.

Mentre 246 professori di economia di università elleniche hanno firmato un appello sempre per il sì.

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