Rapina in villa? Era una finta La moglie uccide il marito

Hanno litigato la sera e lui l’ha picchiata con un ciocco di legno, colpendola alle gambe. Come accadeva da anni, sostiene adesso lei. L’uomo era andato a «sfogarsi» parlando ad alta voce con i loro cani. Poi hanno fatto pace, come sempre era successo fino a due sere fa, e hanno cenato insieme e visto un film in televisione, «Cuore selvaggio», che raccontava di una donna che perde il marito durante una rivolta di tessitori finita nel sangue in Germania nel 1844. Sono andati a letto, ma hanno avuto difficoltà a prendere sonno. Lui avrebbe preso dei sedativi e lei è rimasta sveglia, a pensare ai tanti soprusi subiti: si è alzata, ha preso lo stesso ciocco di legno con cui era stata picchiata poche ore prima e l’ha assassinato mentre dormiva, colpendolo ripetutamente alla testa. Poi ha simulato la rapina. E per diverse ore la sua messinscena è stata convincente.

Poi le contraddizioni e la confessione: a uccidere Alfio Longo, di 67 anni, elettricista in pensione, è stata la moglie, Vincenzina Ingrassia, di 64, che ha ammesso tutto ai carabinieri del comando provinciale di Catania, dando la sua versione dei fatti: era vittima di violenza da 40 anni. La donna è stata fermata per omicidio volontario su disposizione del procuratore Michelangelo Patanè e del sostituto Raffaella Vinciguerra.

Una versione che militari dell’Arma stanno continuando a verificare, ma che è ritenuta verosimile nel movente e certa nella dinamica. Ci sono, tuttavia, particolari che restano ancora in sospeso: la presenza di una piccola piantagione di marijuana tra i filari ordinati di una piccola vigna e alberi da frutta della villetta della famiglia Longo alle pendici dell’Etna, a Biancavilla. La mansarda dove c’era una stanza per l’essiccamento e la conservazione della droga. La pistola calibro 9 e il fucile calibro 12 trovati nella legnaia.

La donna ha mantenuto lucidità per ore. Ma all’alba è crollata e ha raccontato la sua verità, fatta di 40 anni di violenze, ma senza mai presentare denunce per maltrattamenti, ha sostenuto, «per non farlo sapere in paese», ed «evitare la vergogna che la gente sapesse». Una situazione che ha portato Vincenzina Ingrassia a dirsi «preoccupata» per «non potere organizzare i funerali di suo marito», che ha ucciso, e di «come la notizia sarà presa» a Biancavilla. Sembra non essersi resa conto della portata del suo gesto, tanto che a carabinieri e magistrati di Catania dopo la confessione ha detto: «adesso posso andare a casa? Tanto sapete tutto e sapete anche dove abito...».

Un mondo chiuso, fatto di apparenze, da conservare malgrado tutto e a dispetto di tutti: «ci sono contraddizioni tra vite vissute e dichiarate», spiega il comandante provinciale dei carabinieri di Catania, colonnello Alessandro Casarsa. Che rivela: «Dopo la confessione la signora ha provato più vergogna che rimorso», benché si sia «liberata di un fardello fatto di violenza di ogni genere».

Un delitto maturato nel chiuso di una villetta che per Vincenzina Ingrassia era una prigione, con un marito che andava rispettato e ossequiato nonostante, secondo quello che lei ha raccontato, le ‘vocì di tradimenti che giravano in paese e le violenze, psicologiche e fisiche, che avrebbe subito. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stata l’ultima aggressione: i colpi di legno di un ciocco con cui il marito l’ha percossa. Se il delitto è stato d’impeto o premeditato sarà l’inchiesta a chiarirlo. Intanto il procuratore di Catania, Michelangelo Patanè, ha invitato chi subisce violenze a «denunciare subito, per evitare turbamenti omicidi».

Ma cosa ha demolito la messinscena della rapina? «La scena del crimine parla - ha detto il colonnello Casarsa - e se la ricostruzione non coincide con quello che dicono i testimoni, vuol dire che c’è qualcosa che non va». Tra le incongruenze nella versione data da Vincenzina Ingrassia l’assenza di sangue nella stanza dove ha detto che l’uomo era stato colpito: «Se tu dici che tuo marito sanguinava - ha precisato l’ufficiale - e noi non troviamo tracce ematiche, c’è qualcosa che non va». Tra gli indizi che non hanno convinto i militari dell’Arma, anche il disordine «apparente»: la casa era quasi in ordine e nulla era buttato per terra con i cassetti appena socchiusi. Altro particolare che non combaciava la dichiarazione che in casa non ci fossero soldi o armi, che sono stati invece trovati. La donna aveva affermato che il marito aveva fatto dei prelievi nel pomeriggio, ma un rapido controllo l’ha smentita. Tutto questo è stato possibile grazie, dopo il sopralluogo del Ris, all’impiego di personale altamente specializzato con l’arrivo a Catania di militari del Reparto crimini violenti e del Ros, che ha reso più veloci tutti gli accertamenti.

Restano dei dubbi: la piccola piantagione di marijuana e le armi, su tutti. Chi le aveva in uso e qual era il fine? Procurare soldi o che altro? Domande che vanno oltre il delitto, ma che lo fanno inquadrare in uno scenario diverso da quello di una classica famiglia tranquilla di paese.



Da Piero Maso che nel 1991 a 19 anni uccise a bastonate i genitori e simulò un furto per darsi alla bella vita con l’eredità, a Erika e Omar, che nel 2001 uccisero a Novi Ligure la mamma e il fratellino di lei, fingendo poi che fossero entrati sconosciuti nel villino armati di coltelli, fino ai tanti casi di genitori che tolgono la vita ai figli e simulano tentativi di rapimento o di rapine finite male. Sono numerosi i casi di parenti che uccidono i congiunti e che inscenano aggressioni dovute a criminali, come è avvenuto in Sicilia, a Biancavilla (Catania) dove Vincenzina Ingrassia ha ucciso ieri nella loro villa il marito Alfio Longo e inscenato una rapina.

Questi alcuni precedenti:

Il 17 marzo 1988 nel quartiere Tiburtino a Roma, Elettra Mazza, 34 anni, uccide con una mannaia il proprio figlio di 18 giorni e confessa l’omicidio dopo aver inizialmente raccontato di aver aperto la porta a due uomini che volevano controllare il contatore del gas e che avrebbero ucciso il neonato.

Il 16 aprile 1991 a Montecchia di Crosara (Verona) Pietro Maso, 19 anni, uccide con bastonate alla testa i genitori con l’aiuto di amici. I ragazzi volevano darsi alla bella vita con i soldi dell’eredità dei Maso. Dopo la strage i ragazzi avevano simulato un furto e trascorso la nottata in discoteca.

Il 21 febbraio 2011 a Novi Ligure (Alessandria) Erika De Nardo e Omar Favaro uccidono, con 96 coltellate, la mamma e il fratellino di Erika, Susy Cassini e Gianluca, di 11 anni. A dare l’allarme è la stessa Erika che racconta di essere riuscita a sfuggire a degli sconosciuti armati di coltello, entrati all’improvviso in casa. Tuttavia mentre è nella caserma dei carabinieri viene filmata mentre mima le coltellate e cerca di rassicurare il complice.

Il 7 gennaio 2013 a Montemurlo (Prato) una badante georgiana, Natia Tatarashvili, 24 anni, sgozza la sua datrice di lavoro, Cleofe Nizzi. Dopo l’omicidio, dovuto all’ennesima reprimenda dell’anziana, che scatena la rabbia della badante, la ventiquattrenne cerca di simulare una rapina, raccontando ai carabinieri di essere stata fuori casa due ore e cucendo alcuni preziosi suoi e dell’anziana all’interno del proprio cappotto, per nasconderli e fingere che fossero stati portati via dai malviventi.

Nei giorni scorsi, il 17 agosto, un giovane di Lucca, Andrea Gambino, 20 anni, sotto effetto di alcol e droga, colpisce il padre nel sonno, riducendolo in fin di vita ed ai carabinieri racconta che sono stati vittime di una rapina. La menzogna tuttavia non regge e il giovane presto confessa di aver aggredito il genitore con un casco per motociclista.

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