Bella l'autonomia, ma serve ben altro

Bella l’autonomia, ma serve ben altro

Caro direttore, in questo periodo il termine più usato sulla carta stampata è la parola autonomia. Tutti vogliono essere autonomi in un mondo dove siamo dipendenti dai social, dal tablet, dai telefonini. Ci illudiamo di essere autonomi, quando dipendiamo, chi più chi meno, dal giudizio degli altri, dal ruolo che abbiamo in società, dal conto in banca, dalle proprietà immobiliari. Non desidero l’autonomia, preferisco dipendere dal sorriso di mia figlia, dallo sguardo riconoscente di un amico, dal rispetto delle persone che incontro sul lavoro, dalla pacca sulla spalla del fratello, della persona che ho aiutato durante il volontariato, dal saluto sincero dei condomini. La mia ossitocina non può e non deve arrivare dal denaro depositato sul conto corrente, dalla casa all’ultimo piano, dall’auto nuova. La loro sostanza è carta, mattoni e lamiera.
La vera sostanza è fatta di abbracci sinceri, di calde parole che riscaldano il cuore, di attestati di stima che ti vengono attribuiti, di sorrisi sinceri, di gesti spontanei, di riconoscenza manifestata per il tuo agire quotidiano. Voglio dipendere dalle cose che danno un senso e un significato alle nostre azioni e che restano immutate nel tempo. Una casa si cambia, una macchina diventa obsoleta, i soldi fluttuano e passano di mano in mano. La serenità, l’essere importante per qualcuno, ricevere delle gratificazioni, superare con successo un periodo buio, ritrovarsi fra persone che ti vogliono bene, costituisce l’essenza della nostra esistenza. Quando si possiede uno status minimo per una vita dignitosa, l’animo lieve, il rispetto e il riconoscimento sociale, allora puoi definirti veramente ricco. Quando l’estratto conto della tua esistenza, la metratura dei tuoi comportamenti, i cavalli vapore dei tuoi atteggiamenti, la cassaforte dei tuoi ricordi, collimano con le tue aspettative, solo allora sarai in grado di essere autonomo. Per indire un referendum per la dipendenza dalle uniche cose degne di pregio e per le quali non è richiesto il quorum.

Luigi Manuppelli

Parola da declinare

Tutto vero. A onor del vero la parola autonomia - ma lei lo sa benissimo - si può declinare in molti modi. È emancipazione (che prevede la capacità di farcela da soli, non necessariamente inseguendo ricchezze e chissà quali posizioni sociali), è vocazione di un territorio (cosa sarebbe, oggi, il Trentino, senza l’autonomia?) e piccolo gesto: il primo passo di un bambino, il primo giorno di scuola, la prima notte passata lontana da casa... Quella che fa paura - forse anche a lei - non è tanto l’autonomia quanto la solitudine. Quella tipica della rete e dei social (abbiamo tanti amici virtuali, ma nessuno da guardare negli occhi) e quella - che però definirei egoismo - tipica di questo tempo in cui tutti mettono se stessi al centro dell’universo. Bello sarebbe distinguere le varie autonomie, riempiendole di quei gesti di cui parla lei e ritrovando il gusto di essere, come dire, autonomi in una piena socialità, in una piena condivisione. E qui mi torna in mente il primo passo di un bimbo: un atto di straordinaria autonomia dentro il calore di una famiglia, dentro la magia della vita, dentro le mille metafore che la sua penna saprà certamente ben descrivere. Cosa sarebbe, quel passo, se in fondo a quel percorso non ci fosse il nostro abbraccio, la nostra mano, il porto sicuro in cui crescere.

a.faustini@ladige.it

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