L'omicida dopo aver ucciso Eleonora Perraro si è accanito anche sul cane, vivo per miracolo Manfrini in cella dice ancora di non ricordare

Non è solo un particolare macabro in un quadro già tragico. La questione del cane di Eleonora Perraro, la 43enne massacrata di botte la notte del 5 settembre scorso al Sesto Grado di Nago, ora entrerà a far parte anche delle indagini sull’omicidio: i legali della famiglia, gli avvocati Andrea Tomasi e Claudio Losi, hanno depositato in procura tutti gli atti finalizzati a provare che l’animale è stato picchiato, la stessa notte in cui è stata aggredita la sua padrona. Perché i familiari non hanno dubbi sulla tempistica.

D’altronde se fosse stato ferito, difficilmente quella sera lei e il marito Marco Manfrini se lo sarebbero portato dietro. E nemmeno ci sono dubbi riguardo alle lesioni: è stata fatta fare una consulenza veterinaria, sulle condizioni di Achille, il cucciolone di Eleonora. E il veterinario ha convenuto che è stato colpito numerose volte, con violenza importante: agli arti, alla testa, al corpo.

Fosse stato un cucciolo - queste le conclusioni - o un cane anziano, sarebbe morto. Sempre i legali di parte civile hanno depositato un documento che attesta la proprietà dell’animale: attraverso il microchip ci sono pochi dubbi, circa la veridicità di quanto affermato.

Ovvio che per ora nulla si può dire circa il valore probante dei fatti denunciati. Ma sembra per lo meno utile per inserire la vicenda in un contesto preciso, anche dal punto di vista psicologico. La violenza contro il cane è, insomma, un elemento ulteriore da valutare. Quale sarà il significato che gli inquirenti daranno a questo nuovo dettaglio, lo deciderà il magistrato titolare dell’indagine, il pm Fabrizio De Angelis. Che attualmente è in fase di attesa delle diverse consulenze affidate.

Per ora lo stato dell’inchiesta è noto. Per la procura è il marito di Eleonora, Marco Manfrini, 50 anni, l’unico indiziato. E lui è tuttora in carcere a Spini di Gardolo: dichiara di non ricordare quanto avvenuto quella notte, dichiara di avere come ultimo ricordo l’immagine della moglie sorridente, nel corso di una serata piacevole.

Ma per la procura ci sono prove e indizi che collocano l’uomo sul luogo del delitto al momento dell’aggressione. E a pesare, contro di lui, c’è la precedente aggressione, nei confronti della moglie, che l’aveva costretta in ospedale, solo pochi giorni prima. Il resto, dovrà arrivare dalle consulenze: su tutte, l’autopsia.

Per quanto riguarda la difesa, affidata all’avvocato Elena Cainelli, è in attesa del tribunale del Riesame, a cui si chiede una misura cautelare meno afflittiva. E non appena sarà più chiaro il quadro probatorio, anche la difesa farà affidamento ai propri consulenti: già annunciati incarichi sia ad un medico legale, sia ad uno psichiatra.

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