Caccia, viene meno la scelta tra capannisti e «vaganti»

In attesa che si pronunci la Corte Costituzionale, per i cacciatori trentini torna tutto come prima: almeno per ora, non sarà più necessario dichiarare se si intende esercitare l'attività venatoria in forma vagante oppure se si preferisce la caccia dal capanno. Il Consiglio di Stato ha infatti accolto il ricorso presentato dalla Provincia di Trento contro l'ordinanza cautelare del Tar che aveva sospeso le prescrizioni tecniche per l'esercizio venatorio per la stagione 2018-2019 là dove veniva concessa ai cacciatori trentini la possibilità di non dover scegliere tra i due tipi di caccia.  

Nell'ordinanza depositata ieri il Consiglio di Stato sottolinea che «l'applicazione delle impugnate prescrizioni tecniche approvate dal Comitato faunistico provinciale con delibera numero 711 del 23 aprile 2018, nella parte in cui prevedono la deroga al divieto, stabilito dalla legislazione statale generale, di esercitare cumulativamente la caccia da appostamento e quella in forma vagante, inquadrandosi in una specifica disciplina provinciale, che definisce particolari modalità di svolgimento e di limitazione dell'attività venatoria, non appare idonea a determinare un danno grave e irreparabile agli interessi rappresentati dalle associazioni ambientalistiche ricorrenti in primo grado e ai valori concernenti la tutela e la salvaguardia della fauna selvatica». Dunque in attesa che sulla questione si esprima la Consulta (i tempi non saranno brevi) e che il Tar decida poi nel merito, l'obbligo di scelta decade. In Trentino si torna alle vecchie procedure senza distinzioni nette tra capannisti e cacciatori «vaganti». Le doppiette sono ovviamente soddisfatte anche se a qualcuno resta l'amaro in bocca perché ormai per la caccia agli ungulati i capi da abbattere sono in gran parte già esauriti. 

Era dello scorso 31 luglio l'ordinanza del Tar che ha rimesso alla Corte Costituzionale il giudizio sulla legittimità costituzionale della possibilità in provincia di Trento di esercitare cumulativamente le due modalità di esercizio della caccia. I giudici amministrativi in prima istanza avevano accolto la richiesta cautelare presentata da Pan-Eppaa, Lipu, Wwf, Legambiente (assistiti dall'avvocato Francesco Saverio Dalba) e dal consigliere provinciale M5S Filippo Degasperi. In quell'occasione, invece, erano stati respinti gli altri quattro punti evidenziati nel ricorso, in merito all'esercizio dell'attività venatoria all'interno delle aree protette di interesse provinciale, alla durata dei periodi di caccia di selezione, agli orari di caccia ed all'omessa previsione di un carniere stagionale. In particolare riguardo all'esercizio della caccia all'interno dei parchi (Adamello-Brenta e Paneveggio-Pale di San Martino), il Tar aveva ritenuto fondata l'eccezione sollevata sia dalla Provincia che dall'Associazione cacciatori trentini: l'attività di prelievo in quelle aree protette viene disciplinata non da una delibera provinciale (e, in particolare, dal calendario venatorio), ma dalle previsioni dei piani faunistici di ciascun parco e delle rispettive delibere di approvazione.

Quanto invece alla durata dei periodi di caccia di selezione, il Tar evidenziava che nella legge 248/2005 è contenuta la deroga «giustificata dalle ragioni di tutela del patrimonio faunistico» per i periodi di caccia fissati dalla legge 157/1992, deroga che comprende anche il periodo massimo di 61 giorni.

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