«Porfido e malaffare? Nessuno stupore» Parla il Coordinamento Lavoro Porfido

Il Coordinamento Lavoro Porfido replica all’Ente Sviluppo Porfido che ha difeso gli imprenditori del settore estrattivo, rigettando i rischi di infiltrazioni mafiose evidenziati nella relazione della Commissione nazionale antimafia e rivendicando il ruolo dei cavatori nell’economia locale e a favore del lavoro. Nell’intervento, l’Espo aveva accusato anche il Clp di «polemizzare su ogni fatto che succede nel settore con un solo fine, la chiusura dell’attività estrattiva, senza pensare alle conseguenze di questi atti» (l’Adige del 7 marzo).

Il Clp contrattacca: «Che la situazione del settore del porfido sia alla deriva è sotto gli occhi di tutti: l’occupazione è passata dai 1.495 addetti nel 1990 ai 1.052 nel 2006 fino ai 625 del 2014, dimostrando in maniera impietosa quanto questi imprenditori si siano prodigati per “non mandare a casa gli operai”. Questo ovviamente anche grazie alla mancata attuazione da parte dei Comuni, amministrati direttamente o indirettamente dagli stessi concessionari di cava, del comma 5, art. 33 della L.P. 7/2006 che stabiliva: “sulla base del provvedimento di definizione del volume il Comune provvede all’aggiornamento delle concessioni e dei relativi disciplinari prevedendo, con apposita clausola, i livelli occupazionali da mantenere per la durata della concessione”».

Per il Clp, i Comuni hanno omesso di far rispettare questa norma soprattutto per «l’esistenza di situazioni di conflitto d’interesse tra amministratori locali e attività estrattiva intesa nel suo complesso (indotto, trasporti e appalti)» e per la presenza nelle amministrazioni proprio di imprenditori del settore.


E i concessionari hanno approfittato di questa situazione, spiega il Coordinamento, intraprendendo «la strada dell’esternalizzazione delle lavorazioni, dapprima con il ricorso a partite Iva e successivamente a ditte artigiane con propria manodopera, soprattutto extracomunitaria: finti lavoratori autonomi, costretti a lavorare solo per un cavatore con forme di ricatto molto forte».

Il Clp, ricordando che questo sistema ha permesso agli imprenditori coinvolti di fare «ingenti profitti poi investiti in speculazioni immobiliari e nell’acquisto di cave in Argentina, Messico, Brasile, Marocco, Bulgaria e Cina, aggravando con ciò la crisi del porfido trentino», attacca direttamente quindi anche il presidente di Espo, Massimo Stenico, prima chiedendogli «quanti sono gli operai dipendenti e quanti gli artigiani che prestano la loro opera nella sua ditta di Fornace» e, poi, affermando che «materiale proveniente da Paesi extraeuropei è depositato in grande quantità sul piazzale del macrolotto nel quale opera la sua ditta».

Ma «i lauti profitti di cui hanno goduto fin qui i concessionari - per il Clp - sono anche dovuti all’irrisorietà dei canoni di concessione, pari al 2-6% del valore del semilavorato che si ricava dalla fase di cernita»: mentre «la ditta aggiudicatasi l’asta nel 1994 (a Lona Lases) con il 211% di rialzo chiuse l’attività nel 2009», quindi non fu affatto un esperimento negativo come riportato dall’Espo. Proprio sulla congruità dei canoni, il Clp ricorda la lunghissima causa legale intentata dai Comuni di Lona Lases e Baselga di Pinè contro le Asuc, risultate poi vincenti, per togliere loro la proprietà di alcuni lotti cava su cui i canoni di concessione applicati erano «più che doppi rispetto a quelli stabiliti dai Comuni sulla base di quanto stabilito dalla legge provinciale».


Circa «il vantato merito di “far avere ogni mese con puntualità una paga dignitosa”», il Clp ricorda all’Espo e agli imprenditori che si tratta di «un obbligo contrattuale il cui mancato rispetto era sanzionabile secondo la legge provinciale 7/2006 (prima che entrasse in vigore la nuova legge Olivi-Viola che ne ha scardinato l’impianto) attraverso la procedura di diffida, sospensione e revoca della concessione o dell’autorizzazione».

Ebbene, «ci sono voluti gli esposti del Clp alla Procura della Repubblica affinché i Comuni provvedessero ad attuare i primi controlli», dai quali è emerso che «ad Albiano solo 13 ditte concessionarie su 32 risultavano in regola», «a Lona-Lases 3 ditte su 6 non erano in regola (2 le concessioni ritirate)» e nel comune di Baselga di Pinè «sono emerse irregolarità nel pagamento dei salari in 4 ditte che hanno portato ad accordi di rateizzazione di arretrati per centinaia di migliaia di euro, più volte disattesi, così come è successo a Cembra, dove è stata dichiarata la decadenza di una concessione».

Visto il contesto, chiede il Clp, «come ci si può stupire che nel sottobosco artigiano determinato dalla destrutturazione del settore, alligni non solo il malaffare ma anche la piccola e grande criminalità?».

Ed è appunto quanto emerso in più inchieste sul traffico di droga, che «hanno coinvolto soggetti con attività di copertura nelle cave di porfido o comunque legati ai paesi della zona». Per il Coordinamento, «il coinvolgimento della Marmirolo Porfidi srl e della Emiliana Scavi srl (a cui la ditta Pasquazzo srl ha ceduto un ramo d’azienda per un corrispettivo di 1 milione di euro) nella maxi inchiesta sulla ‘ndrangheta denominata “Aemilia” dovrebbero inquietare anche i dirigenti dell’Espo. Perché in tutti questi anni essi non hanno mai sentito il bisogno di stigmatizzare certi fatti? Come mai non hanno mai promosso iniziative di sensibilizzazione nel mondo imprenditoriale e si dedicano con tanto zelo ad attaccare chi denuncia il malaffare?».

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