Giulia, in Germania a accogliere i rifugiati

di Paolo Caroli

Il 9 settembre scorso è arrivato un importante riconoscimento per una giovane educatrice trentina residente in Germania, Giulia Scoz. Il presidente della Repubblica tedesco, Joachim Gauck, l'ha invitata a parlare nel corso di un evento per celebrare le iniziative della società civile. All'interno di un gruppo di sei relatori, Scoz è stata scelta, assieme ad un altro operatore sociale, come miglior esempio di accoglienza ai rifugiati, in virtù del lavoro da lei svolto presso il centro Klab di Luckenwalde, nel Brandeburgo, a mezzora da Berlino. È stata proprio Giulia a mettere in piedi l'attività del centro, che gestisce per conto dell'associazione Die Falken (Sozialistische Jugend Deutschlands). Assieme a un'altra ragazza trentina, Lucia Andreatta, Giulia offre quotidianamente attività pomeridiane per ragazzi disagiati, fra i quali, negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di rifugiati. Il centro attira circa 20/30 ragazzi, fra i 6 e i 25 anni. Giulia, da pochi giorni diventata mamma, racconta qui un po' di più del suo lavoro e di come è arrivata a questo riconoscimento.

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Cosa l'ha portata dal Trentino a Brandeburgo?

Dopo aver studiato scienze politiche a Padova e Torino, sono arrivata in Germania sette anni fa, perché in Italia non vedevo un futuro. Ho trovato lavoro velocemente, da 4 anni con i Falken, un'associazione ricreativa nata in seno al partito socialista e ancora oggi in qualche misura legata alla SPD. Il centro KLAB esisteva già, ma da quando i Falken ne hanno avuto la gestione me ne sono occupata io, poi affiancata da Lucia

Com'è cambiato il lavoro con l'arrivo dei rifugiati?

Noi abbiamo continuato a fare quello che facevamo prima, cioè interagire con dei ragazzi. Tedeschi o rifugiati, tutti ascoltano la stessa canzone di Justin Bieber, giocano allo stesso gioco con il cellulare; sono bambini, esseri umani. Tante volte invece lo sbaglio che si fa, anche da parte di chi vuole integrare, è considerarli come un'entità a sé. Le attività sono le stesse; ovviamente con problemi pratici di comunicazione e programmazione

Che impatto ha avuto sui giovani tedeschi?

Alcuni se ne sono andati, perché ritenevano fossimo diventati un posto di rifugiati. Altri ragazzi del paese, però, che non frequentavano il centro, hanno iniziato a venire apposta ad aiutare.

Perché, voi in particolare, siete stati scelti come esempio?

Perché molti rifugiati sono venuti da noi per il nostro modo di lavorare, per la nostra impostazione e perché ci siamo indirizzati da subito a loro. Vengo spesso invitata a tavole rotonde, dove centri e associazioni ancora oggi tematizzano e discutono su come rapportarsi ai rifugiati. Invece da noi non c'è stata questa fase di blocco

Che particolarità hanno i giovani rifugiati, rispetto ai ragazzi tedeschi?

Sono problematiche e traumi completamente diversi. Da una parte c'è il tedesco con i diritti e il sostegno dello Stato, ma problematiche familiari legate ad esempio all'alcol; le tipiche famiglie borderline. Con i rifugiati invece, poiché il viaggio è molto costoso, abbiamo ragazzi della media e alta borghesia; famiglie educate, che danno valore all'istruzione, sanno l'inglese. Il trauma è quindi legato alla guerra, ma soprattutto al viaggio, il tema più presente nei discorsi e nei disegni. C'è poi tutto il problema dell'iter giuridico e burocratico, che comporta paure e insicurezze. I siriani ottengono il permesso in pochi mesi, ma molti ceceni dopo 4 anni non sanno ancora cosa succederà il mese dopo. Penso anche alla discriminazione dei siriano-palestinesi (palestinesi accolti in passato dalla Siria come rifugiati), i quali non ottengono il riconoscimento di "rifugiato" con la stessa facilità degli altri siriani. Ancora, ricordo un ragazzo albanese, Belin, che in sette mesi da noi aveva imparato il tedesco e si era fatto molti amici; è stato molto triste quando è stato rimpatriato.

Come valuta il sistema dell'accoglienza in Germania?

Ci sono stati tanti investimenti di denaro e sono gestiti bene, ma continuano ad esserci rifugiati di serie a e di serie b. Nella società civile, molta gente si è attivata, soprattutto i primi mesi; poi la moda è passata e ora il problema è mantenere viva l'attenzione. Per questo l'invito di Gauck è un riconoscimento importante per me e per il centro. Il problema principale dell'accoglienza in Europa resta comunque l'assenza di corridoi umanitari; se potessimo risparmiare il viaggio a queste persone, avremmo il 40% di trauma in meno

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