«Non ho soldi, non pago» «Al Csa Bruno veniva tutta la città che conta»

di Giuseppe Fin

È stato uno dei principali protagonisti storici del Centro sociale Bruno che, però, ha lasciato ancora nel 2008. Donatello Baldo sei mesi fa circa, assieme ad altri, si è visto recapitare tramite raccomandata la lettera attraverso la quale la Provincia ha chiesto oltre 467 mila euro per il periodo di occupazione dell'ex Dogana dal 2007 al 2013.


Quasi mezzo milione di euro. Pagherà la multa?
«Non per chissà quale azione di disobbedienza. Ma non mi ci vuole la calcolatrice per capire che nemmeno con le 72 comode rate che propone la Provincia sarà possibile onorare questo debito».


Ma ritiene giusto che chiedano anche a lei di pagare questo conto salato?
«Dal punto di vista legale non saprei dire. Ma credo sia assurdo in generale: oggi il centro sociale viene abbattuto definitivamente, quella realtà non c'è più, verranno fatti quaranta parcheggi. E c'è da precisare una cosa fondamentale: nessuno, mai, ha avuto vantaggi economici dal centro sociale, nessuno ne ha tratto profitto».


In ogni caso ci sono delle utenze da saldare, l'acqua ad esempio.
«Al Bruno di via Dogana si sono abbeverati in molti, una generazione intera. I figli di quelli di sinistra e di destra, Lega inclusa. Era un pezzo di città».


Il Bruno era frequentato anche dalla politica?
«Un bicchier d'acqua non si nega a nessuno. L'hanno bevuto anche don Gallo, don Ivan Maffeis e i vertici della Cooperazione trentina; Gianni Kessler e sua moglie Daria de Pretis, che oggi è giudice alla Consulta; l'ex assessora Lia Giovanazzi Beltrami e gran parte dell'Ufficio stampa della Provincia. A curiosare venne pure Adelino Amistadi, a confrontarsi con noi venne Giorgio Lunelli. A parlare dei Balcani chiamammo Michele Nardelli, sul tema dell'alimentazione coinvolgemmo anche Slow Food con il suo presidente Sergio Valentini. E quello che era il maitre à penser di Dellai e dell'Upt, il sociologo Aldo Bonomi, in un incontro al Bruno ci riconobbe una funzione educatrice e di cura ai problemi della società».


Un centro sociale frequentato...
«Un luogo aperto della città che si riempiva anche delle sue contraddizioni, ma che non smetteva di confrontarsi con tutti. Un luogo politico e sociale, non una comunità chiusa».


Parla al passato. Il nuovo Centro sociale a Piedicastello è altra cosa?
«È sicuramente un'altra cosa perché è nato e cresciuto in un contesto storico, sociale e politico diverso. Ma non significa che sia meglio o peggio, è soltanto diverso. Ci sono altre generazioni, altre contraddizioni, altre storie».


Lei non c'è più, ha lasciato il Centro sociale molti anni fa.
«Per questo non mi permetto di giudicare l'operato di questa ultima esperienza sociale. Non ne faccio parte. Ma di una cosa sono sicuro: i luoghi di attraversamento politico sono ancora necessari».


Ieri hanno abbattuto il murale sulla facciata dell'ex dogana. Le dispiace?
«No, sono contento. Era soltanto un guscio vuoto, dentro non c'era più nulla. I colori erano ormai stinti e sbiaditi, sembrava un monumento abbandonato a se stesso. Di muri grigi la città è piena, spero che qualche mano esperta sappia colorarli come abbiamo fatto noi».

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