La disoccupazione rallenta, i salari restano al palo

A dicembre, secondo i dati provvisori dell’Istat, gli occupati sono 22.422 milioni: dopo il calo osservato nei due mesi precedenti, l’occupazione a dicembre aumenta dello 0,4% (+93 mila), tornando su valori prossimi a quelli di settembre. Su base annua la crescita è dello 0,5% (+109 mila). Il tasso di occupazione, pari al 55,7%, aumenta di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,3 punti rispetto a dodici mesi prima.

Il numero di disoccupati, pari a 3,322 milioni, diminuisce del 3,2% rispetto al mese precedente (-109 mila) mentre aumenta del 2,9% su base annua (+95 mila).
Il tasso di disoccupazione a dicembre scende al 12,9%, in diminuzione di 0,4 punti percentuali in termini congiunturali.

Il calo osservato nell’ultimo mese è il primo segnale di contrazione della disoccupazione dopo un periodo di crescita che si è protratto nella seconda metà dell’anno.
Rispetto ad un anno prima il tasso di disoccupazione è in aumento di 0,3 punti percentuali. l numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,2% rispetto al mese precedente; anche a novembre l’inattività aveva registrato un’analoga crescita, dopo il calo avviatosi nel mese di aprile. Su base annua l’inattività si mantiene in calo dell’1,9%.

Il tasso di inattività, pari al 35,8%, aumenta di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e diminuisce di 0,6 punti su base annua.

Frattanto, si registrano segnali positivi per l’economia nel mercato dell’edilizia: l’Istat fotografa un aumento dei mutui. E il ministero del tesoro, interprete dell’ottimismo che caratteriza il governo Renzi, parla di «ripresa diffusa in tutte le aree geografiche del Paese». Citando anche le costruzioni appunto.
Cambiano anche gli umori: cittadini e aziende scommettono su un miglioramento della situazione. E infatti il Mef parla di «un incremento del reddito a disposizione delle famiglie, non ancora trasformato in consumi. Ciò che è sembrato mancare a fine 2014 è proprio la scintilla di fiducia che trasforma il reddito disponibile in consumi».

Altrettanto fanno gli economisti di Prometeia e, anche se più cauti, di Standard & Poor’s. L’agenzia di rating, dopo l’annuncio del Quantitative Easing, vede rosa per il Made in Italy. Non solo, il Tesoro ha collocato tutti i 6,5 miliardi di euro di Btp a 5 e 10 anni con tassi in discesa al minimo storico.
Ieri il premier Matteo Renzi aveva twittato: «Segnali di ripresa timidi ma interessanti», ora «avanti con le riforme, ridiamo fiducia agli italiani».

L’edilizia dà segnali di ripresa dopo anni di crisi e anche il mercato immobiliare si allinea: già nel terzo trimestre del 2014 le compravendite sono risultate in aumento (+3,7%), mentre i mutui registrano un’impennata del 13,9%, la più forte dal 2010. E se il dato sugli scambi dell’Istat era atteso (l’Agenzia delle entrate aveva già stimato un deciso rialzo per luglio-settembre), quello sui presiti con ipoteca era invece tutto da verificare. La ripresa è diffusa su tutto il territorio, dal Nord al Sud, ma a trainarla sono le grandi città (+5,3% per le compravendite e +16,1% per i mutui).

Tuttavia Confedilizia mette in guardia da facili entusiasmi, spiegando che il mercato «resta ancora lontano dai livelli pre-Imu». Se le tasse sul metro quadro di certo non invogliano, una spinta potrebbe arrivare dalle agevolazioni previste nel pacchetto casa inserito nello Sblocca Italia, diventato legge a novembre. Per saperlo bisognerà aspettare i risultati degli ultimi tre mesi dell’anno.

Dall’Istat però non escono solo buone notizie: le cifre sulle retribuzioni non fanno altro che peggiorare. Il 2014 è addirittura risultato l’anno con la crescita più bassa (appena +1,3%) mai registrata dal 1982, data di avvio delle serie storiche. A pesare è la pubblica amministrazione, dove tutto è congelato e lo sarà pure per il 2015.

L’attività contrattuale arranca anche nel privato, tanto che sono oltre sette milioni i lavoratori che continuano ad andare in ufficio o in fabbrica con le vecchie clausole, basate su contratti scaduti. Nonostante tutto, e potrebbe sembrare un paradosso, il potere d’acquisto sale grazie a un’inflazione praticamente azzerata.

Archiviato il 2014 gli occhi sono puntati sul 2015 e secondo il capo economista di Standard & Poor’s per Europa, Medio Oriente e Africa, Jean-Michel Six, l’Italia è tra i paesi dell’euro che potrebbe beneficiare di più del calo della moneta unica, verso la parità con il dollaro a fine anno, almeno in termini di export (+0,5%). Quanto agli effetti sul Pil S&P non si sbilancia. Dopo le stime di Bankitalia e di Confindustria, anche l’agenzia incorpora le attese del Qe sul prodotto interno italiano, che sì crescerà ma «meno dello 0,5%, tra lo 0,2 e lo 0,3%».
Più ottimisti gli analisti di Prometeia, che prevedono un aumento dello 0,7% del Pil, 13 miliardi freschi in tasca alle famiglie e oltre cento mila assunzioni.

Quasi sicuramente il «bazooka» di Mario Draghi, il programma di acquisti di titoli pubblici deciso dalla Bce, per ora ha influito positivamente sulle aste di Btp. Il rendimento del decennale è infatti sceso a 1,62% e il tasso del quinquennale è calato allo 0,89%.
Insomma ancora una situazione in evoluzione ma dal Tesoro si sottolinea come «gli italiani sono più fiduciosi sul proprio futuro personale e sulle prospettive economiche» e per le imprese «aumenta il clima di fiducia nei settori dei servizi alle imprese delle costruzioni; sostanziale stabilità nel settore manifatturiero; visibile il calo nel commercio al dettaglio».

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