La disoccupazione sale al 12,2%, costo del lavoro sotto la media Ue

Nel 2013 le persone in cerca di occupazione crescono di 369.000 unità (+13,4%). Il tasso di disoccupazione sale al 12,2% (da 10,7%, +1,5%), quello di inattività al 36,5% (da 36,3%). Nel 2013 il numero degli occupati si è ridotto a 22,420 milioni, 478 mila in meno rispetto al 2012, -2,1%. È quanto risulta dall'annuario Istat: un calo che porta il tasso di occupazione per la fascia 15-64 anni al 55,6%, «molto al di sotto del dato Ue, 64,1%».

I dipendenti pubblici restano ancora senza aumenti retributivi. Nel corso del 2013 sono stati rinnovati 17 contratti collettivi nazionali che hanno coinvolto poco più della metà dei lavoratori. Il maggior numero si registra nel settore dell’industria (11), invece alcun rinnovo per settore agricolo e pubblica amministrazione.
Quasi un dipendente su due è in attesa di vedere rinnovato il proprio contratto nazionale di lavoro (48,1% contro 30,4% del 2012). Le retribuzioni contrattuali orarie sono aumentate in media dell’1,4%, ma all’interno della Pubblica amministrazione gli aumenti sono pari a zero.

L’Italia risulta sotto la media dell’eurozona sia in fatto di salari che di costo del lavoro in generale. La retribuzione lorda per ora lavorata, la misura base del valore della prestazione, da noi è pari a 19,9 euro. Ciò significa che un lavoratore tipo viene pagato in Italia meno di 20 euro ogni 60 minuti, contro i 21,2 della media dell’unione monetaria.
Quasi tutti i principali stati europei si mostrano più generosi, con in testa alla classifica la Danimarca (34,2 euro) e il Belgio (27,5).

Appena fuori dal podio l’Irlanda, l’Olanda e la Germania.

L’Italia viene anche superata dalla Francia. Ma non mancano paghe più leggere delle nostre: dal Regno Unito alla Spagna. In fondo alla graduatoria le ‘economicissimè Bulgaria (2,9 euro) e Romania (3,2 euro). Grosso modo gli stessi divari si ritrovano guardando al costo del lavoro in senso lato( 27,5 euro contro 28,4 di Eurolandia). Valore comprensivo non solo delle retribuzioni ma anche dei contributi sociali. Una voce quest’ultima che da sola in Italia si mangia oltre un quarto delle spese sostenute dal datore, imprenditore o ente pubblico che sia.

Passando dai calcoli basati sulle ore lavorate a quelli che coprono un intero anno, l’Istat si ferma al 2012, emerge come ogni dipendente costi poco più di 41 mila euro. Tuttavia nelle tasche dei lavoratori ne arrivano ‘solò 29,9 mila. D’altra parte oltre un quarto, il 27,3%, va a finire nella voce contributi sociali, dove la fanno da padrone quelli obbligatori. Di certo non incidono sulla quota ‘contributì, quota stavolta superiore alla media dell’eurozona, le spese per formazione, limitate allo 0,2%. Più consistente è invece la fetta destinata al Trattamento di fine rapporto (3,9%).

L’Istat nel report sulla «Struttura del costo del lavoro in Italia» fa anche sapere che una parte del Tfr, non maggioritaria ma neppure trascurabile, pari al 28,8%, sia versata in fondi di previdenza complementare, almeno stando al settore privato.

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