Ambiente / Recupero

Tre anni dopo Vaia, viaggio in Val Cadino dove il bosco rinasce più forte di prima

La tempesta ha sradicato 20 mila ettari, oggi 4 mila sono già stati piantumati con un lungo lavoro sinergico di Servizio Foreste, Comuni, Asuc, privati, imprese, lavoratori

VIDEO Le testimonianze di chi "guarisce" i boschi

di Paolo Micheletto

FIEMME. Tre anni dopo i giorni terribili della peggior tempesta che è possibile ricordare, abbiamo raggiunto la Val Cadino, nella catena del Lagorai, salendo da Castello Molina verso il Passo Manghen. Siamo saliti fin qui per capire da vicino come si può aiutare il territorio ferito nella sua rinascita.Qui la furia di Vaia ha fatto strike: i boschi, in alcune zone, sono stati completamente rasi al suolo.

Vaia, tre anni dopo: le testimonianze di chi lavora per “guarire” i nostri boschi

Che cosa ci ha lasciato Vaia, tre anni dopo? Le ferite non sono ancora rimarginate: ne parliamo con chi se ne occupa in prima linea.

Prima della tempesta c'era una giovane fustaia di cinquant'anni d'età, costituita da abete rosso con la presenza di alcune latifoglie: l'area era già stata duramente colpita dall'alluvione del 1966 e quindi ripristinata. Vaia, quindi, ha inferto un colpo al corso della natura e all'impegno dell'uomo, che aveva coltivato con passione questa montagna.

Per avventurarsi nei boschi dopo la tempesta ci volle del tempo, anche perché la pioggia aveva eroso la viabilità in diversi punti. Oggi, a tre anni di distanza, non c'è più quell'idea di desolazione che colpì i primi uomini che salirono tra alberi spezzati, acque fuori controllo, strade spazzate via. Interi versanti della montagna sono spogli: del resto la furia è stata cattivissima.

I versanti sono spogli e quindi liberati da quel disastro che portò Vaia: e questo significa che il legname è stato messo in vendita e che nelle aree si può procedere al ripristino. In Val Cadino la cura è gentile: sono già state piantate migliaia di piccoli alberi, ma in molti angoli i giganti spezzati resteranno dove Vaia ha voluto.

Ci accompagna Luigino Leonardi, tecnico dell'Agenzia provinciale delle foreste demaniali (Aprofod), che a due mesi dalla meritata pensione, dopo 42 anni di servizio, conosce molto bene questi luoghi: ha guidato un lavoro incredibile nella realizzazione di strade e piazzali, fondamentali per permettere ai mezzi di raggiungere le aree offese, raccogliere il legname e iniziare a portare via i tronchi prima che il legname perdesse il suo valore.

Nel nostro viaggio in Val Cadino attraversiamo sentieri e strade che fino a un anno fa non esistevano: le opere sono state utilizzate a pieno ritmo e solo grazie a questi interventi è stato possibile portare via buona parte del legname a terra. Si sente il rumore del rio Cadino, messo in sicurezza.

Vaia val cadino

Ma anche il torrente del Buson, che attraversiamo mentre si sale in cima, ha avuto l'attenzione che richiedeva: le sue acque scendono placide a valle. Prima di Vaia poteva venire "braccato" dalla vegetazione nel caso di piogge violente, mentre la caduta di centinaia di alberi gli ha concesso un'ampia libertà: ecco perché è stato progettato - e già realizzato - un intervento di ripristino. È stato rimodellato il versante e la ghiaia utilizzata è stata prodotta sul posto, senza dover ricorrere a tanti viaggi dei mezzi pesanti, che avrebbero inquinato e sarebbero stati molto pericolosi.

Il risultato è che il torrente scorre in sicurezza, con alcune vasche pensate per trattenere le acque e soprattutto i massi che le piogge avrebbero portato giù. Ma non è tutto: accanto al torrente sono già state sistemate a terra circa mille piante di larice, che tra qualche anno copriranno i vuoti.

Lo stesso si può dire per un cantiere aperto ancora più in alto, a poca distanza dalla baita di Fornasa Alta, a quota 1.892 metri: Leonardi ci ricorda che in inverno è stata utilizzata una fresa per togliere di mezzo i tre metri di neve e iniziare i lavori per la strada che in questi mesi è stata utilizzata dagli operai per liberare la montagna da centinaia di alberi caduti.

Oggi si può dire che anche il bosco del Cadino ha un futuro: e non era scontato, visti i danni della tempesta. Si è provveduto a libera aree intere dal legname a terra, mentre in altre gli schianti resteranno a terra. Ed è partita la fase del ripristino, anche se la presenza degli ungulati - ghiotti delle piccole piante - non aiuta di certo.

E poi c'è i disastro del bostrico.

In questo quadro, Giovanni Giovannini parla di «bilancio positivo del lavoro di questi tre anni. Ognuno ha fatto la sua parte per il recupero del bosco: la Forestale, i Comuni, le Asuc, i privati, le imprese, i lavoratori».

Giovannini ha 44 anni ed è il dirigente del Servizio foreste e del Servizio faunistico della Provincia. Ricorda le prime uscite dei suoi uomini nei boschi distrutti da Vaia (lui è stato nominato dirigente alcuni mesi dopo la tempesta) e tutte le decisioni necessarie per non intervento veloce: «Siamo stati in grado di aprire la viabilità e intervenire in tempo per salvare il legname e utilizzarlo in tempi brevi - spiega il dirigente - Ormai possiamo dire di aver tolto l'ottanta per cento del legname da terra e abbiamo evitato il deperimento di grandi quantità, come invece è accaduto altrove».

Giovannini ha concluso così il Piano d'azione, vale a dire l'insieme delle linee guida che hanno definito le priorità della Provincia per il dopo Vaia: «Sarà importante l'attività di ripristino a bosco delle aree schiantate, per le quali va sottolineata da subito una scelta di fondo strategica. Questa consiste nel puntare al massimo livello sui processi di rigenerazione naturale della foresta, quale elemento in grado di garantire una buona sintonia con le condizioni stazionali dei futuri boschi e, dunque, una maggiore resistenza a possibili eventi di perturbazione fisica o biologica che dovessero presentarsi in futuro».

Il dirigente ricorda infatti che «il bosco prima di tutto è importante per dare stabilità ai territori di montagna: i rimboschimenti hanno l'obiettivo di fermare l'erosione dei versanti».Le piccole piante disseminate dove Vaia ha portato distruzione sono un segnale di speranza. Il bosco rinascerà: ci saranno meno abeti ma il bosco tornerà. Prosegue Giovannini: «I vivai del Casteller e di San Giorgio, in Valsugana, stanno producendo al massimo delle capacità. Abbiamo iniziato a collocare a dimora alberi per 350 ettari, in gran parte larici, che tra l'altro hanno il vantaggio di una produzione molto veloce».

Se Vaia ha strappato via 20mila ettari di bosco, si prevede che si arriverà a 4.000 ettari con gli alberi piantati dalla Provincia: «Come detto, interveniamo prima di tutto per ripristinare la fase protettiva del bosco dal punto di vista idrogeologico - conclude Giovannini - Dovremo intervenire nel caso di superfici estese e prive di vegetazione, ma teniamo conto che la maggior parte dei boschi sarà autogenerato».

La Val Cadino si troverà quindi con un bosco «più equlibrato», con diverse specie e di diverse età, caratteristiche necessarie per un ambiente stabile. Una scelta ancora diversa è stata fatta a Passo Lavazè, dove in un'area di venti ettari è stato deciso di non fare alcun intervento, in modo da permettere alla natura di fare il suo corso. Una splendida giornata di fine ottobre fa calare il sole. Dopo Vaia c'è il bostrico, che colpisce anche gli esemplari salvati dalla tempesta. C'è da temere per la vegetazione del Trentino? «Avremo boschi più belli - conclude Giovannini - se saremo in grado di considerare questi eventi come momenti di accelerazione del processo di rinnovamento delle superfici»

comments powered by Disqus