A teatro una dark comedy che convince

di Antonia Dalpiaz

Ariateatro, compagnia sempre attenta alle novità, ha puntato l’attenzione su uno dei nomi più interessanti del panorama internazionale non solo teatrale, ma cinematografico, l’irlandese Martin McDonagh, mettendo in scena Una mano mozzata a Spokane (A Behanding in Spokane del 2010) che ha debuttato venerdì scorso al Teatro di Pergine con replica sabato 8 dicembre 2018 al Teatro di Meano.

Una scelta che conferma la voglia del gruppo di misurarsi con tutti i linguaggi che il palcoscenico offre, allargando così il proprio orizzonte di possibilità, ma allo stesso tempo invitando il pubblico a confrontarsi con testi e allestimenti di largo respiro. E con McDonagh, la sfida si è rivelata intrigante, perché la dark comedy è così ricca di possibilità, di giochi scenici e confronti/scontri dialettici da stimolare in chi ama questo genere teatrale, la voglia di scendere in campo e misurarsi con il non sense, ma allo stesso tempo con tematiche di grande spessore, apparentemente sottaciute, ma invece vibranti di segnali e di contemporaneità, denudati di moralismi stucchevoli e sostenuti da un linguaggio tagliente, immediato, che racconta di una società che esprime il proprio disagio anche attraverso una comunicazione capace di arrivare dritta al punto, senza dribblare.

E tutto questo è stato raccolto con attenzione dal giovane regista Carlo Sciaccaluga e declinato in una messa in scena (bella ed efficace la scenografia ed indovinate le musiche) che privilegia, ed a ragione, un ritmo incalzante, quasi ossessivo in gran parte del lavoro (affidato alla coppia di fidanzati Toby e Marilyn), ma allo stesso tempo modulato e tenuto « a freno» quando lo stranulato concierge Mervyn, entra nel gioco, arricchendo le vicende con il dipanarsi delle sue fobie, a confronto con il mondo complesso, sofferto e confuso di Carmichael la cui vita è tutta indirizzata alla ricerca della sua mano (che gli è stata mozzata ventisette anni prima).

Una ricerca che sottintende ben altro e che scava con attenzione nel tunnel profondo delle nostre paure e di quanto ci è stato tolto o mai consegnato. Ben affiatato il gruppo attoriale, a partire da Maurizio Bousso, che ha disegnato con convincente ironia e forza espressiva la figura di Toby, padrone di presenza scenica che conferma il suo positivo percorso artistico. Al suo fianco una brava Alice Arcuri, che ha regalato a Marilyn la giusta carica di vivacità e sensualità, dimostrando di saper «tenere» il personaggio con incisiva sicurezza.

Bene anche Denis Fontanari, in un ruolo, quello di Carmichael, dove si alternano, in un mix non facile, emozioni contrastanti che si muovono dall’irruenza al senso di smarrimento per qualcosa che rimane irrisolto in un finale dai toni malinconici che dà la giusta risposta alla frenetica ricerca di sé in un percorso in cui ben si colloca il personaggio «allucinato» del receptionist, affidato alla sensibilità artistica di Andreapietro Anselmi. Tanti e convinti gli applausi finali.

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