«Il vizio dell'arte», a Pergine la pièce migliore in Italia

di Manuela Pellanda

«Il vizio dell'arte» di Alan Bennett, nella versione del teatro dell'Elfo, andrà in scena stasera, 23 febbraio, al teatro di Pergine alle 20.45 . Miglior spettacolo italiano secondo il «Premio Hystrio-Twister 2015», la pièce, che poggia su un esilarante meccanismo metateatrale, parla di arte, poesia, musica, teatro, strettamente intrecciati alla vita, al coraggio di essere se stessi, alla paura di invecchiare.

Ferdinando Bruni, autore della traduzione italiana, attore in scena, regista - con Francesco Frongia - ci racconta di questo lavoro.

Ferdinando Bruni, perché questo testo? E perché, dopo «The History Boys», ancora Alan Bennett?

«The History Boys è stato salutato da pubblico e critica con grande entusiasmo: 250 repliche e un sacco di premi. Un'esperienza molto bella, che ci ha permesso di allargare il nostro organico a un gruppo di giovani e di usare lo spettacolo come un'occasione per trasmettere la nostra esperienza, accumulata negli anni. Abbiamo così deciso di cimentarci con un altro suo lavoro, "Il vizio dell'arte", un testo che, tra gli altri temi, parla di teatro, aspetto che ha immediatamente catturato la nostra attenzione».

Protagonisti della scena, infatti, due attori che interpretano il compositore Benjamin Britten e il poeta Wystan Hugh Auden. Un doppio ruolo per lei, che veste i panni del secondo (e dell'attore Fitz), e per il suo collega Elio De Capitani. Ci vuole parlare del suo personaggio?

«Auden è un colosso della poesia del Novecento. Qui ne vengono raccontati gli ultimi anni, il periodo in cui, tornato negli Stati Uniti e accolto dall'Università di Oxford, si trova sulla via del tramonto. Stimato, ma poco frequentato e contattato, si lamenta del fatto che nessuno lo interpelli, è vittima di alcune manie - alcune davvero disgustose -, ma mantiene inalterato lo spirito caustico, la grande lucidità e l'indipendenza nei confronti delle convenzioni borghesi.

Al contrario, il suo amico Britten rivela un approccio all'arte e alla vita molto diverso: è un uomo perbene, ma assalito dal dubbio, legato ad alcune scene scabrose di "Morte a Venezia", di cui sta componendo le musiche. I due artisti sono, appunto, impersonati da due attori, impegnati in una prova del dramma il "Giorno di Calibano".

L'assenza del regista (sostituito dall'aiuto regista, interpretata da Ida Marinelli) però, fa sì che le prove siano interrotte continuamente dai commenti degli attori, che si sentono liberi di dare forma ai loro peggiori istinti».

Oltre ad aver tradotto il testo di Bennett e a essere sul palcoscenico nelle vesti di co-protagonista, lei ha firmato anche la regia, con Francesco Frongia. Su quali aspetti avete maggiormente puntato?

«Sulla cosa più divertente e difficile di questo testo: rendere chiari i diversi piani di rappresentazione: quasi tutti gli attori in scena interpretano infatti un doppio personaggio. Abbiamo lavorato molto poi sul gioco teatrale, molto ben congegnato a mio avviso, tra me ed Elio De Capitani, di nuovo insieme dopo Frost/Nixon. Un ruolo fondamentale è stato assegnato infine alla musica dal vivo, molto presente all'interno dello spettacolo».

Cosa è stato determinante, a suo avviso, per la vittoria del Premio Hystrio-Twister 2015 come miglior spettacolo italiano e del Premio Ubu come miglior nuovo testo straniero del 2015?

«Il testo molto colto e profondo, capace di parlare di temi complessi, raffinati, con grande comunicativa e ironia. E la capacità di raccontarlo in maniera divertente. Così, alla fine dello spettacolo, non solo il pubblico conosce due grandi artisti, ma è spinto anche a conoscerli più a fondo».

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