De Gregori venerdì a Bolzano «Non chiamatemi poeta»

In cielo da tempo (ma sempre vivo) il Re De André, il Principe splendente dei Cantautori italiani (colui che - senza nominarlo - Serena Dandini celebrò come il Grande-Antipatico-Che-Guarda-Dall’Alto-In-Basso-Il-Pubblico-E-Si-Diverte-A-Rovinare-Le-Sue-Migliori Canzoni) si è concesso, simpatico e rilassato e arguto - in un’intervista telefonica all’Adige

di Fabio De Santi

In cielo da tempo (ma sempre vivo) il Re De André, il Principe splendente dei Cantautori italiani (colui che - senza nominarlo - Serena Dandini celebrò come il Grande-Antipatico-Che-Guarda-Dall’Alto-In-Basso-Il-Pubblico-E-Si-Diverte-A-Rovinare-Le-Sue-Migliori Canzoni) si è concesso, simpatico e rilassato e arguto - in un’intervista telefonica all’Adige a pochi giorni dal suo show a Bolzano (venerdì 29 maggio, ore 21, Palasport, organizza Showtime, prevendite aperte, biglietti disponibili) in cui si è raccontato, reticente solo sulla musica che ascolta («viaggio, sento quel che passa la radio») e sui giovani musicisti italiani che apprezza («ricevo tanti cd, li ascolto tutti, c’è vita sotto quel che si vede in tv», nomi niente).

Ah, dimenticavamo: lui si chiama Francesco De Gregori, è nato a Roma il 4 aprile 1951. Anche lui è uno di quelli è diventato sixty-four, come nella canzone dei Beatles, ma non sembra rassegnato a fare il pensionato all’isola di Wight.

Soddisfatto dell’accoglienza ricevuta (al di là del doppio disco di platino) dal suo «Vivavoce»?

«Sì, perché è passato il messaggio: cioè che le mie canzoni, anche quelle storiche, le più conosciute, possono essere rivisitate, riplasmate, senza forzature, senza dare traumi all’ascoltatore. Al di là del successo di vendite, che pure c’è, l’aspetto che mi gratifica maggiormente è la risposta della gente durante i concerti».

Fra le canzoni del cd colpisce «Il futuro», cover di «The Future» di Leonard Cohen, che lei ha riadattato in italiano e che da tempo proponeva live: perché questo omaggio al Grande Vecchio?

«Imprimere su disco una canzone vuol dire sempre dare più importanza ai suoni, più cura ai dettagli, ai particolari. Amo questo pezzo e ho pensato fosse giusta l’ora di inciderlo e di lasciarne memoria».

Come sarà il set live che porterà il 29 maggio a Bolzano?

«Vorrei che i concerti del tour fossero contraddistinti dalla parola "flessibilità", perché ogni concerto, sera dopo sera, non è mai uguale a se stesso. Questo perché la scaletta cambia sempre: sia per le scelte che facciamo insieme alla band prima di affrontare il palco, sia per l’acustica del luogo in cui suoniamo. Ci saranno molte canzoni da "Vivavoce" ma non solo: perché non voglio mai fare lo "showcase" del disco. Fra i brani non mancheranno "Rimmel" e "Bellamore"accanto ad "Alice" e "Generale"».

Il 22 settembre porterà «Rimmel» in Arena di Verona: perché ha deciso di suonare integralmente il mitico disco nel 40° dell’uscita? Qual è, ancora oggi, la sua forza?

«Credo che"Rimmel" abbia una sua grazia misteriosa, difficile anche per me da spiegare. Forse è frutto di un momento particolarmente felice della mia vita di musicista. Ero molto giovane e inesperto quando l’ho inciso: è stato il primo che ho prodotto da solo e in assoluta libertà. Sono contento sia rimasto nella memoria della gente e sia anche attuale. L’idea di festeggiare il quarantennale mi è stata suggerita, perché non dò mai grande importanza ai compleanni, neppure al mio. Però, a pensarci, quarant’anni sono una bella cifra tonda e ho pensato che ci potesse stare questo evento in cui riunirò amici e colleghi in un luogo così suggestivo come l’Arena».

Dopo «Cuore di tenebra» di Conrad ha dato la sua voce all’audiolibro «America» di Kafka: che cosa l’affascina di questo libro?

«Ho sempre amato Kafka, l’ho letto tantissimi anni, fa da ragazzo. "America" è uno dei suoi romanzi meno conosciuti, che molti considerano minore. Io però lo amo anche per questo: la storia di questo ragazzo scaraventato in America con un finale quasi incompiuto mi ha sempre affascinato. Spero di far conoscere al pubblico, con la mia voce, queste pagine».

Una volta ha detto: «Non mi piace quando dicono che le mie canzoni sono poesie. La poesia è ben altro e se leggi "La donna cannone" senza la musica, è una boiata pazzesca, non sta in piedi». Qual è il suo poeta di riferimento, in questa fase della vita, 750° di Dante a parte?

«Se parliamo di Dante parliamo del sommo poeta: sommo davvero. Imbattersi in una sua terzina in un qualsiasi momento della vita significa aprire la finestra su orizzonti che mai nessun altro poeta ha mai esplorato, forse nemmeno Shakespeare e Omero. Io non sono mai stato un grande lettore di poesia. Mi dà però fastidio che la gente ne abbia un’idea scolastica, che l’associ alle letture sui banchi di Foscolo o Leopardi. C’è molta ignoranza sui grandi poeti del Novecento. Penso ad autori quali Caproni, Luzi, Amelia Rosselli. Se non li hai letti, non puoi dire che il testo di una canzone è poesia. Boiata no, correggo. Ma le canzoni, che pure hanno le rime, i versi e la metrica, non vivrebbero senza la musica. Con questo non voglio dire che la canzone sia per forza cosa minore rispetto alla poesia. Esistono bruttissime poesie e bellissime canzoni, ma vanno tenute distinite: è come paragonare le pere e le mele».

E un romanzo, uno scrittore che sta leggendo e consiglierebbe?

«Io leggo un po’ a caso. Negli ultimi tempi mi sono letto il Meridiano di Piero Chiara perché mi hanno dato un premio a lui dedicato. Chiara mi è sempre piaciuto: è uno scrittore considerato minore, un po’ negletto dalla critica spocchiosetta dei suoi tempi, non ha avuto quella consacrazione che meritava. Per il resto sono piuttosto americanofilo.
Ho sempre amato Cormac McCarthy, specie le prime opere e la ?Trilogia della frontiera?. Mi sento figlio di scrittori come Hemingway, Steinbeck, Faulkner».

Poesia a parte, ma lei si rende conto che con «Santa Lucia» ha cantato una delle più belle preghiere laiche mai scritte? Che sta in piedi, eccome! («il violino dei poveri è una barca spezzata...»), anche senza la musica?

«No, non bastano le parole: come autore mi sento impacciato nel dare un senso così ?alto? ad un mio brano. Se leggo il testo di ?Santa Lucia? a me sembra quasi che incespichi, non lo vedo completo, intendo, se staccato dalla musica, dalla ritmica. Invece, nei versi di Caproni e Luzi c’è la forza poetica del ritmo senza la musica: una forza poetica che, ripeto, non vedo nei testi delle mie canzoni. Sulla ?preghiera laica? dico che è un bell’ossimoro ma non mi convince...».

...non volevamo «liturgizzarla» in un San Francesco (omonimo del papa buonissimo!!!) adesso che anche Raùl Castro rischia di farsi cattolico...

«Beh, io direi che Santa Lucia è una preghiera e basta, perché l’atteggiamento dell’uomo che prega non ha niente a che vedere con la lacità. Si tratta di un atteggiamento di pura spiritualità e religiosità».

Santa Lucia la benedica. Ma la benedicano anche i nostri fratellini e sorelline a quattro zampe: lo sa, vero, che ha scritto la più bella canzone di sempre sui cani?

«Sono un grande amante dei cani. Di solito non dò dettagli sulla mia vita privata, ma fra amici di cani si può fare. Ho un Jack Russell nella mia casa di Roma mentre in campagna in Umbria ho un pastore maremmano e forse ne prenderò un’altra, ora che una non c’è più».

Elaborato il lutto, non è meglio cambiare razza?

«I cani della canzone sono quattro ma potrebbero essere anche quaranta o quattrocento. Chi ama i cani ama le cose più diverse che ci offre la vita».

Dai cinofili ai cinefili. Lei ha dichiarato la sua sconfinata riconoscenza artistica per il Fellini di Otto e mezzo. Tra Moretti, Garrone e Sorrentino - tutti belli tosti in gara a Cannes - chi sceglie?

«Fellini è un po’ come Dante per me, e non solo per ?Otto e mezzo?. I tre italiani a Cannes non sono proprio miei amici, ma li conosco tutti e tre. Non ho visto nessuno dei film ma mi auguro che prendano bei premi. Ad incuriosirmi di più forse è la pellicola di Garrone, che mi pare abbia fatto un grande salto dalla sua cinematografia di provenienza per affrontare un testo così particolare come "Lo cunto de li cunti2, sono curioso di vedere che interpretazione ne ha dato».

Dovesse riscrivere «Viva l’Italia», lascerebbe l’Italia che resiste e che non ha paura?

«La rifarei uguale. Credo che sia una canzone che vive al di fuori dal tempo e abbia lo stesso significato oggi di quando l’ho scritta. È un atto d’amore e di speranza per il nostro Paese. Credo che piaccia a destra come a sinistra proprio perché è una canzone che sta fuori anche della politica del tempo. È una canzone patriottica e lo dico senza pudore. È una canzone sulla terra dei nostri padri, sulla nostra appartenenza».

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