Rizzieri, l'uomo di nuvole e lana

Edito nel 2007 e subito esaurito, L’uomo di nuvole e lana, i testi e le fotografie sono di Gianluigi Rocca, è nuovamente disponibile nella seconda edizione fortemente sostenuta dal sindaco di Caderzone Terme Marcello Mosca e dal presidente del Museo della Malga Alberto Mosca.

Un libro fotografico accompagnato da intarsi di poesia dove Gianluigi Rocca ricostruisce la figura di «Rizzieri», pastore d’altura del monte Valandro, detto il Ghirlo, apice estremo a sud della catena del gruppo di Brenta; intreccia la sua storia con quella di Lorenzo, il transumante, della Valle dei Mocheni, che con il vecchio Rizzieri ha condiviso la montagna. Le fotografie, scattate da Rocca nell’arco di vent’anni, documentano, con l’intensità propria di un animo particolarmente sensibile, attento alle sfumature dei luoghi e del sentire, la forza di un uomo che ha scelto di percorre la difficile strada della solitudine e dell’incertezza.
Grazioso Morelli, originario di Seo, piccola frazione del comune di Stenico, portava il gregge all’alpe dove rimaneva anche fino a dicembre, per poi scendere a valle quando la neve impediva gli spostamenti.

«Da ragazzo - spiega Rocca - sono stato servo pastore di Grazioso Morelli, per tutti Rizzieri. Con lui ho conosciuto il fascino e la durezza di un mestiere antico, fatto di giorni tutti uguali; un’abitudine marchiata di simboli e riti, un’esistenza fuori dal tempo, spinta al sacrificio, che mi ha permesso di scoprire come sia forte il senso del dovere nella continuità di un’usanza ereditata in solitudini lunghe».

Per questo l’artista Gianluigi Rocca, che della montagna conosce il fascino e le avversità, che fin da bambino ha vissuto a contatto con la natura, accanto al vecchio zio, con il quale ha trascorso molte stagioni scandite dalla caccia invernale di frodo e dalle transumanze, ha voluto raccogliere in un libro le giornate ora luminose, ora tempestose dell’amico pastore.
Se l’ambiente delle malghe ha influito notevolmente sulla sua espressione artistica, il contatto con i lunghi silenzi, la paura e la precarietà dei giorni, ma anche l’incanto dell’alba, le voci del bosco, gli sguardi dei pastori misteriosamente avvolti d’infinito gli hanno insegnato a vivere l’intensità del limite e nel tempo ha fatto tesoro di quei racconti senza parole, scavati nella pelle dei pastori; racconti fatti di pochi suoni e tante emozioni che lui ha tradotto in versi. Il libro è dunque il racconto - si legge nella prefazione - «di uomini soli schiacciati nelle problematiche di un’emarginata condizione che tra le montagne è solitudine e incontrollabile mesto declino».

In queste pagine vi è anche una voluta denuncia, «un monito alla cecità di chi tra le mura dell’istituzione ha nelle mani la sorte di quelle vite, di quegli sguardi, di quell’ambiente meraviglioso e crudele che le ospita. L’abbandono delle malghe, il disagio, la difficoltà di vivere in quota con la paura e il tormento alle continue aggressioni dell’orso introdotto su queste montagne».
Il percorso fotografico apre con alcuni momenti che ritraggono il pastore all’inizio della stagione: la partenza, lo sguardo alla valle, la salita, le pecore e con loro il cane, unico amico di chi si incammina. E poi «il rito all’inizio di ogni stagione/da sempre nel primo giorno dell’Alpe/cercare le tane tra i sassi, il sibilo freddo dell’aspide rosso da uccidere e annodare alle croci»; trovato il riparo per la notte, così angusto da poterci stare solo sdraiato il pastore lascia che sia è il bianco fumo del fuoco a rivelare la sua presenza.

Il percorso si dipana fra immagini di malghe crollate, «cimiteri di resti» in luoghi alla vista paradisiaci, eppure estremamente avversi.
Poi l’incontro con Lorenzo, il pastore che torna dalla pianura in cerca di altri pascoli che «porta l’odore e il sapore sfacciato di una gioventù senza tempo». Il gregge cammina, i cani lo raggruppano in morbide e compatte forme: un dono del cielo l’andare ordinato seguendo il ritmo delle necessità.

Ma anche la morte entra in queste giornate: il sasso che cade e uccide, la pecora «ricamata di mosche/ sulle sponde del canalone»; e ancora l’agguato delle stagioni, la neve, che blocca il cammino, «disumana visione che cancella ogni mondo disegnato di cose». Lunghi tragitti fra sole e nebbie, crinali morbidi, rocce incombenti, stretti sentieri oscillanti di bianche schiene, ordinate e sapienti, momenti di quiete sotto i vigili sguardi dei cani e poi l’improvviso comparire di «ombre affamate».

La paura scombina il cammino «ora viene anche di giorno quell’orsa che non ha più paura di niente/ torna e cura il gregge con la grazia perfetta dell’assassino». Molti affanni, rinunce per scarsi, a volte dolorosi guadagni. «Verranno a chiederti l’agnello più bello per le feste pasquali/un’ennesima morte che piega il tuo cuore già curvo alla vita. Scivoleranno nascoste le tue lacrime gonfie di pena/ quando alla soglia del buio pulirai quella lama/che non vorresti mai usare».

Nelle immagini della tosatura, infine, in quella folta lana che ogni pecora gli regala, e che nessuno vuole più, sta l’estrema ferita del pastore.
I negozianti veneti salgono ai paesi, «scendono dalle auto di lusso e guardano, annusano, sfiorano, toccano e poi guardano ancora». Non comperano, dicono che non convenga: Così la lana andrà a finire in discarica, il Rizzieri lo sa ma continua ugualmente «nella fatica di forbice dura/e alla sera c’è un carico nuovo per l’asino, da stivare nel solaio già colmo».
È sempre lassù il Rizzieri, lo sa Gianluigi Rocca, sebbene abbia preso una strada diversa: «partito da solo lungo il sentiero di un pascolo nuovo»: la sua anima abita l’immensità, sua inseparabile compagna.

Gianluigi Rocca, «L’uomo di nuvole e lana», Edizioni Museo della Malga, Stampato da Grafica 5, luglio 2018.

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