Spettacoli / Intervista

Makkox: "Nei momenti più tragici desidero ridere e deridere". Domani il noto disegnatore e volto tv sarà in val di Cembra

Appuntamento domenicale al rifugio Malga Sauch di Giovo, in val di Cembra con Marco Dambrosio, molto apprezzato anche per "Propaganda Live", che ora ha scritto pure un'autobiografia

di Fabio De Santi

TRENTO. "Credo che proprio nei momenti più tragici in me sia più forte il desiderio di ridere, e di deridere. Penso sia una forma di resistenza al male, all'orrore". In queste parole c'è molto dello spirito che anima l'arte di Marco Dambrosio, in arte Makkox, il disegnatore e autore televisivo, atteso, domani, domenica 5 settembre alle 14.30 al rifugio Malga Sauch di Giovo in val di Cembra, per l'anteprima della rassegna “Generazioni”.

Makkox nell'incontro “Aspirazioni a matita: l’arte di fare ironia” parlerà del suo percorso artistico e professionale, raccontando come sia possibile districarsi con ironia tra i temi di maggior attualità. Classe 1965, laziale, Makkox, si è affermato negli anni come uno fra i più irriverenti e brillanti disegnatori e fumettisti italiani senza dimenticare la ribalta televisiva ora su La7 con "Propaganda Live" insieme a Diego Bianchi.

Makkox, prima domanda a freddo: qual è il suo rapporto con la montagna e quanto c'è di questo ambiente nel suo immaginario?

"Non vorrei deluderla, ma, a parte aver visto Heidi da bambino, della montagna so molto poco. L'immaginario che riemerge continuamente nelle mie cose si è formato quando ero piccolo, e poi ragazzo. In quell'età ti si fissano nel cuore le passioni fondamentali per i profumi, i luoghi, i colori, gli scenari, i volti, eccetera. La mia infanzia l'ho trascorsa tra mare e campagna, i luoghi in cui sono nato e ho vissuto a lungo. Ciò non toglie che mi piaccia la montagna. La conosco meno, ecco".

Quali sono le radici della sua passione per il fumetto?

"Le radici sono estese e molto ramificate. Credo, in questo senso, di essere figlio dei disegni di cui mi sono nutrito. Fortunatamente per me sono un onnivoro. Se invece per arte intende il senso dell'ironia che vedi nelle mie storie, per la maggior parte è un'eredità familiare. Il ramo paterno della mia famiglia è pugliese. Una famiglia molto numerosa. Quando si riuniva diventava una compagnia comica teatrale. È stata una scuola divertente ma anche dura, perché l'ironia pugliese è caustica e non risparmia nulla, ma ha anche un senso della misura tutto suo, che ti insegna ad affondare il colpo fin dove serve e non di più".

Ma quanto è difficile oggi fare dell'ironia attraverso disegni e vignette affrontando l'attualità?

"Credo che proprio nei momenti più tragici in me sia più forte il desiderio di ridere e di deridere. Penso sia una forma di resistenza al male, all'orrore. In questi giorni, ad esempio, le notizie che arrivano dall'Afghanistan non sono direttamente il soggetto delle mie cose - forse però un paio di vignette con i talebani le ho fatte -, mi interessano di più le reazioni dell'occidente che si confronta con questa emergenza. C'è tanto materiale per esercitare l'ironia".

Quanto le pesa essere considerato fra i più irriverenti e brillanti disegnatori e fumettisti italiani?

"Non voglio smentirla ma nell'ambiente della satira, chiamiamolo così, io sono considerato pochissimo irriverente. Anzi, quasi condiscendente e complice con l'oggetto della mia ironia. Credo sia vero, in parte. Tendo all'empatia col bersaglio, se può essere un modo per spiegarlo. Oppure è il mio carattere, non lo so. Oltre un certo limite non mi viene di andare. Non riesco a colpire la persona. Sono una persona anch'io e, guardando a me stesso indietro nel tempo, mi accorgo di essere stato tante persone, tutte diverse, non tutte degne di ammirazione. Per cui mi piace più ironizzare sui comportamenti. E i comportamenti non sono la persona".

Si è mai pentito, e casomai perché, di qualche sua vignetta?

"Ammazza. Di molte. Mi sono pentito di averle pubblicate ma anche non di averle disegnate. Le vignette vanno realizzate pensando al contesto. Una vignetta fatta per una cerchia di amici, in cui tutti ci conosciamo e sappiamo chi siamo, cosa siamo, come la pensiamo, quali valori abbiamo, come ci divertiamo a trasgredirli a parole, può essere scorretta e spassosa. La stessa vignetta pubblicata sui social può risultare solo offensiva, crudele, fuori luogo, incomprensibile. Questo perché il contesto è diverso: sui social non sei tra amici, con tutte le salvaguardie reciproche che comporta. A tal proposito, credo che i social siano il posto peggiore dove pubblicare vignette".

Per quale motivo?

"C'è una varietà troppo ampia di utenti con capacità di comprensione, linguaggi e sensibilità diverse. Una volta, se pubblicavi una vignetta su Il Male, questa veniva fruita dai lettori del Male, che parlavano la stessa lingua di quella vignetta, erano educati a quel tipo di espressione satirica, e perciò riuscivano a decifrarla.

Provi a immaginare certe vignette de Il Male pubblicate oggi sui social. Gli autori dovrebbero andare a nascondersi nei boschi per non essere linciati. Esagero? Negli ultimi anni, per un paio di vignette "italiane" di Charlie Hebdo (lo stesso per cui urlavamo Je suis!) abbiamo sfiorato la crisi diplomatica con tanto di richiamo degli ambasciatori. Non siamo educati alla satira. Il cittadino medio non è stato educato a riconoscerla e decifrarla, crede che la satira sia tutta nella caricatura, nell'imitazione buffa del politico. La satira, anche quella odiosa che non ci piace, è un segnale del livello di libertà della società in cui vivi".

Il nome di Makkox ha cominciato a circolare nel 2007 con il suo blog Canemucca: quanto l'ha stupita approdare a giornali come Liberazione, Internazionale e poi con le sue vignette anche su Il Post?

"Sa che non ci ho fatto caso? È successo tutto abbastanza velocemente. Ai tempi in cui iniziai a pubblicare le mie cose sul web facevo un altro lavoro per vivere. Avevo una mia azienda in società con degli amici. Non mi andava male. Quindi non ho avuto la sensazione che l'attenzione ricevuta per mie vignette mi avesse strappato finalmente dalla miseria e da una vita da incompreso. La crescita di consensi nel web mi è sembrata frutto naturale della mia applicazione sul lavoro, come sempre. Producevo una gran quantità di storie e disegni, mettendoci tanta cura. Di solito questo paga".

Il suo volto ha bucato il piccolo schermo sempre al fianco di Diego "Zoro" Bianchi in Gazebo prima e ora in Propaganda Live su La7: quanto la diverte la dimensione catodica?

"Mi diverte molto fare da spalla a Diego. Quando andiamo in diretta conosciamo giusto un canovaccio di quello che andremo a fare, il resto accade tutto lì per lì. Non credo sia possibile un altro modo di fare Tv per noi. In effetti non abbiamo la sensazione di fare Tv, ma più di essere su un palco in una piazza".

Fra un impegno e l'altro ha trovato il tempo anche per un'autobiografia: da dove l'esigenza di raccontarsi?

"Io l'esigenza di raccontarmi con un'autobiografia non la sentivo per nulla. Già lo faccio, in modo subliminale, con le mie vignette e le storie a fumetti. La proposta di scrivere una specie di mia autobiografia “un po' cazzona” è venuta da Pippo Civati. Ho accettato perché Pippo, con la sua casa editrice People, mi ha convinto del fatto che attraverso il racconto delle mie esperienze avrei avuto occasione di esprimere dei punti di vista sulla realtà attuale. Io non sono uno scrittore, ho chiesto a Nicola Mirenzi, un amico giornalista , di aiutarmi nella scrittura. Ne è uscito un bell'oggetto, armonico nella forma e nel contenuto. Ci sono anche dei disegni, dentro, non sono riuscito a non esprimermi anche nella mia lingua madre".

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