La Sosat compie cent'anni: quando l'alpinismo diventò "operaio"

Se la Sat nel 2022 celebrerà i primi 150 anni della sua storia, c’è una sua storica sezione, la Sosat (Sezione operaia della Società degli alpinisti tridentini), che taglia oggi, con i suoi 800 soci, il traguardo del secolo di attività. 

Il 7 gennaio del 1921, infatti, nasceva il sodalizio che oggi ha sede in via Malpaga e che esattamente un secolo fa si costituì in una disadorna sala di via San Pietro. Fu la prima sezione operaia in seno al Club Alpino italiano. Un’audacia ben ripagata, fare della frequentazione alpinistica della montagna una pratica popolare, democratica, per tutti, da attività d’élite quale era stata sia in epoca pionieristica (il primo Ottocento), sia fino alla fine della Belle Époque interrotta dalla Grande Guerra.

Operai, artigiani, impiegati, la montagna la frequentavano poco; la guerra, poi, aveva inferto profonde ferite al territorio montano. Molti cittadini delle classi popolari trentine avevano scoperto la montagna proprio nel doloroso e tragico periodo bellico. Con la Sosat nasceva un nuovo modo di guardare la montagna e anche un’operazione identitaria che ha inciso profondamente sul Trentino di questi cent’anni, pur nel mutare dei tempi. Non più una montagna come sfida o simbolo nazionalistico, ma come ambiente in cui vivere bene, ritemprarsi, rispettare e ammirare la natura.

«Con la nascita della Sosat all’interno della Sat – spiega Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino – si rivendicava l’apertura a un tema sociale. Il club della montagna si apriva a orizzonti più ampi, a una nuova dimensione culturale. C’erano, alla base, delle motivazioni anche pedagogiche, oltre che associazionistiche, di emancipazione sociale delle masse, di stemperamento di tensioni sociali, di democratizzazione del tempo libero, di escursionismo organizzato, dopo l’esordio in chiave aristocratica e borghese. Socialisti e popolari avevano capito l’importanza delle grandi masse».
In quel giorno di gennaio di cent’anni fa erano sei i membri del comitato promotore. A fare la differenza, la spiccata personalità di Nino Peterlongo, amico di Gigino Battisti, figlio di Cesare, capo impiegato ai magazzini Chesani, istrionico, affabulatore, coinvolgente, abituato ad essere alla mano con la gente. Fu lui a trascinare anche Natale Merz, Francesco Pasini, Emilio Parolari (noto irredentista, poi acceso antifascista e repubblicano), Giovanni Zanolli ed Aldo Zomer, tutti componenti del primo direttivo.

Nel 1931 la Sosat si autosciolse. Il fascismo aveva creato commistioni e iniziato a controllare l’associazionismo. Nel 1945 fu ancora Peterongo a riprendere in mano i fili della storia sosatina, seguito da Luigi Folgehraiter.

Silvio Detassis, 21 anni di presidenza – la più longeva – è un altro pezzo della storia Sosat. Insieme a Nino Baratto, altro storico e indimenticato presidente. Il centenario della Sosat arriva in un periodo di forti restrizioni alla socialità: «Il primo atto delle celebrazioni – anticipa il presidente in carica della Sosat, Luciano Ferrari, è una pubblicazione in due volumi su questo secolo di storia». Il primo volume va dal 1918 al 1931 ed è curato dagli storici Maurizio Cau, Mirko Saltori, Vincenzo Calì. Franco de Battaglia si è occupato del periodo di raccordo con la seconda fase, quella dal 1945 ad oggi, curata da due giornalisti e sosatini, Toni Cembran e Sandra Tafner. Un’opera bibliografica coordinata da Andrea Zanotti, presidente del Coro della Sosat, che invece il suo centenario lo celebrerà tra cinque anni, nel 2026. Coro che, insieme alla scuola di alpinismo Giorgio Graffer, rappresenta il fiore all’occhiello della Sosat e un patrimonio di identità trentina e alpina attraverso la coralità. «In cent’anni siamo riusciti a mantenere lo spirito originario – aggiunge il presidente Ferrari – e i soci di oggi sono tutti motivati. Alle origini la Sat era concentrata nell’amministrazione dei rifugi; la Sosat ha portato tutti in montagna. Una volta era il capofamiglia a iscrivere tutta la famiglia. E si sceglieva la Sat anche perché non si avevano i mezzi per andare in montagna da soli, né di trasporto né le attrezzature. Cent’anni fa si iniziava a portare la gente comune in Bondone, un Bondone ancora non attrezzato. Oggi portiamo la gente comune in spedizioni in Nepal o Perù, avvicinando tutti alle grandi montagne».

«Avere in città, a Trento, ben tre sezioni, la Sat, la Sosat e la Susat, la sezione universitaria – conclude la presidente della Sat, Anna Facchini – è un orgoglio, una pluralità di voci che è simbolo di biodiversità culturale».

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