Il violinista Francesco Iorio: «L'arte non è da telefonino: non vedo l'ora di tornare ai concerti»

di Fabio De Santi

«Facciamoci sentire in ogni modo possibile: suoniamo, cantiamo, balliamo, recitiamo, registriamo video, facciamo concerti in live streaming, condividiamo sketch teatrali sui social. Ma davvero è questa l’arte che vogliamo trasmettere e condividere con gli altri? Soprattutto è questa l’arte per la quale ci siamo impegnati tanto?».

Parte da qui la riflessione sullo stato della musica e delle arti che abbiamo raccolto del violinista di Trento Francesco Iorio, Primo violino del Tirolerfestspiele di Gustav Kuhn e Primo violino del Bologna Baroque, ma anche perito ed esperto di strumenti musicali con centinaia di consulenze in tutto il mondo per case d’aste come la rinomata Sotheby’s.

«Quando sento politici, esperti e tecnici - dice Iorio - riferirsi al mondo del lavoro utilizzando la frase “Dobbiamo muoverci tutti nella direzione del digitale, è il futuro!” mi vengono i brividi se la penso applicata al mondo della musica o del teatro. Penso a chi ha trascorso anni a studiare anche dieci ore al giorno in aule di Conservatorio o in piccole camere isolati dal resto del mondo e dagli amici e si trova ora ad esibirsi su delle pagine multimediali “usa e getta” della durata di un clic per diventare un rettangolino sul mosaico confuso che si forma sul monitor del computer».

Per il violinista, classe 1985, la magia dell’arte non è dietro uno schermo, anche se supportata dall’ultimo modello di subwoofer o dal super-mega-ultra hd.
«Io non ho studiato dodici anni violino con grandi docenti in tutto il mondo (e come me decine di migliaia di artisti) concentrandomi sulla proiezione del suono, lo sviluppo della tecnica, la gestione della tensione sul palco, per fare un video di cinque minuti col telefonino e postarlo sul social di turno. Non parliamo poi di misurare le qualità di un artista basandomi sul numero di “like”. Un artista è meglio di un altro a seconda di quante icone con un pollice stilizzato rivolto verso l’alto colleziona sotto il suo video. Mi sembra tutto così surreale».

Iorio non nasconde i suoi timori su come a questa visione dell’arte e dello spettacolo ci si possa abituare. «Forse, anzi sicuramente, sono troppo conservatore su questo aspetto. Non voglio assolutamente criticare chi non la vede nel mio stesso modo e posso apprezzare molte iniziative proposte dai mezzi d’informazione o dal web come i concerti per i nostri meravigliosi medici fatti sui tetti degli ospedali o sui poggioli. Ma riflettiamoci bene: vogliamo che queste lodevoli iniziative restino un attimo di gioia nella tristezza di questo frangente o vogliamo che l’artista muti irreversibilmente il suo modo d’essere?».

Piuttosto che condividere questa nuova visione fredda dell’arte, per Iorio sarebbe necessario cominciare ad individuare luoghi nei quali si possa essere maggiormente distanziati, magari uno stadio, una piazza o un parco: «Penso che un abbonato ad una stagione sinfonica, teatrale o concertistica, piuttosto di avere un canale esclusivo sul social di turno verrebbe volentieri in un parco ad ascoltare un concerto. Almeno gli eventi che prima venivano fatti in un teatro da 800 posti credo possano tenersi in uno stadio o in una piazza di 5000 metri quadri. Penso che un artista sia più felice di suonare all’aperto, magari un po’ amplificato, piuttosto che davanti ad una telecamera».

In questo momento così delicato l’invito di Iorio è di non affidarsi solo al virtuale, sia da spettatore che da musicista: «Voglio andare ad un concerto per emozionarmi e sentire la meraviglia dell’errore, gustarmi il fascino dell’elemento a sorpresa, arrabbiarmi per il disturbo della persona seduta vicino a me, vedere come si comporta l’artista se la corda del violino salta o il microfono della vocalist cade. Voglio andare ad un concerto per tornare ad avere i brividi lungo la schiena e poi piangere. Voglio tornare sul palco per avere le gambe che mi tremano, per ricevere critiche, per essere stimolato a fare meglio la volta successiva se sbaglio, per litigare coi colleghi durante le prove e fare pace pochi minuti dopo tornando a suonare la stessa partitura».

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