Philip Roth «svelato»

Gli autori che ha amato o che lo hanno influenzato, come Bernard Malamud, Saul Bellow, Primo Levi ed Edna ÒBrien. Due interviste rilasciate dopo l’addio alla scrittura nel 2012, in cui ripercorre, con uno sguardo lucido ma un po’ commosso, una vita di lavoro. Cinquant’anni di scrittura e 31 libri, l’ultimo è «Nemesi» del 2010. E anche alcuni testi pubblicati per la prima volta.

Philip Roth, morto il 22 maggio a 85 anni, svela altri aspetti della sua anima e della sua scrittura in Perché scrivere? Saggi 1960-2013 che uscirà per Einaudi, nelle Frontiere, alla fine di ottobre di quest’anno.
Si tratta dell’edizione definitiva dei suoi saggi, nella traduzione di Norman Gobetti, in cui l’autore Premio Pulitzer di «Pastorale americana» è come se intrattenesse un dialogo con la sua opera narrativa rivelandoci al tempo stesso le sue tante passioni, ma anche l’acutezza del suo sguardo sul presente.

Una raccolta di interventi che è una sorta di affresco finale del suo percorso letterario e della sua eredità dove spiccano i saggi letterari degli anni ‘60 e ‘70 e che include le conversazioni e le interviste con altri scrittori, molti dei quali sono europei, che fanno parte della collezione «Chiacchiere di bottega» e una sezione di saggi di cui alcuni pubblicati qui da Einaudi per la prima volta.

Tra le interviste di «Chiacchiere di bottega», spiccavano anche quelle con Primo Levi a Torino, al quale Roth chiede di visitare, oltre alla casa dove vive (e dove poi si suicidò), la fabbrica chimica dove l’autore di «Se questo è un uomo» ha passato gran parte della sua esistenza prima come chimico e poi come dirigente.

E poi quella a Milan Kundera con cui affronta a Londra e nel Connecticut il tema del totalitarismo e del destino del romanzo e ad Edna ÒBrien con cui parla del suo «esilio volontario» dall’Irlanda.

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