Venerdì al S.Chiara di Trento l'acid jazz degli Incognito

di Fabio De Santi

Dopo il trionfale live del James Taylor Quartet al Melotti di Rovereto la rassegna Jazz’About piazza un’altra stella assoluta dell’acid jazz come gli Incognito.

La formazione inglese guidata dal 1979 Jean-Paul «Bluey» Maunick sarà in concerto venerdì 17 all’Auditorium S.Chiara.

Gli Incognito hanno pubblicato, in oltre 30 anni di carriera, 15 album in studio e hanno visto alternarsi negli anni decine e decine di musicisti e cantanti, sempre di altissimo valore. Negli anni gli Incognito hanno mantenuto fede alla loro idea musicale, ovvero quella di un sound non solo da ballare ma anche da ascoltare, che potesse conciliare la raffinatezza del jazz con il calore e la sensualità sonora del soul-funk. In questa intervista proprio Jean-Paul «Bluey» Maunick ci racconta la dimensione degli Incognito .

Mr. Maunick che set proporrete in Italian?

Suoneremo i nostri pezzi più noti, alcune tracce dal nostro ultimo lavoro e alcune cose lasciate alla spontaneità e creatività… il tutto, ovviamente, suonato con passione. Tutti desiderano essere sollevati un po’ ed è questa la nostra missione su questo pianeta: sollevare lo spirito delle persone.

Quale rapporto avete con il pubblico italiano?

Lo potrei definire come un’amicizia durevole. Dopo diversi decenni possiamo ancora affermare, con tutto il cuore “Sei ancora un mio amico”.

Gli Incognito sono una delle band ormai storiche soul jazz funky: qual è il vostro segreto?

Quello che facciamo viene dal cuore, non abbiamo mai cercato la fama e consideriamo la nostra musica e le nostre produzioni sempre come qualcosa di reale e rilevante. Abbiamo lavorato duramente per 37 anni senza che questo ci abbia fiaccati. Non abbiamo mai perso la gioia di comporre e di andare in giro a tenere concerti. Ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati e consideriamo questo come un qualcosa da festeggiare ogni giorno delle nostre vite. Questo è il segreto.

Cosa è cambiato nella scena musicale dai vostri esordi ad oggi?

Non è la musica a cambiare, è la vita che si trasforma. Tecnologia, politica, economia, clima e stili di vita in tutto il mondo. A volte la musica riflette questi cambiamenti ma se hai creato qualcosa che è unico, il nucleo e l’essenza della tua creazione sarà il tuo punto di forza, sempre. E noi puntiamo a questo, componiamo con questo obiettivo.

Cosa delinea invece il termine acid jazz?

È un riflesso della nostra intera produzione insieme alle influenze mosse dai nostri propri algoritmi, visione e sensibilità creativa. È jazz dance music per la nostra generazione.

Quali sono stati i momenti più emozionanti della sua carriera di musicista?

La prima volta in studio di registrazione, quando saliamo sul bus in partenza per un tour (ogni volta), stare sul palco e vedere milioni di facce sorridenti in giro per il mondo. L’essere in una delle migliori band del mondo. Aver avuto la benedizione di poter veicolare messaggi positivi. L’aver collaborato con artisti di cui sono fan da una vita come George Duke, Al Jarreau  Mario Biondi, Leon Ware, George Benson, Chaka Khan, Steve Gadd, Stevie Wonder, Jocely Brown per citarne alcuni.

Qual è la cosa che la diverte ancora maggiormente nella dimensione live?

Cerco di esprimere me stesso e dare vita al bambino che vive dentro di me e che si innamorò della musica tante lune fa!

Qual è il vostro rapporto con il web: vi piace dialogare con i fan tramite questo strumento?

È qua, è una realtà e non ha senso combatterla. Io cerco di non abusarne e mi rifiuto di essere ingannato da questa dimensione. Mi soffermo sulla natura positiva dei media online, non mi lamento di quello che il web mi ha tolto, ma mi concentro su quello che può fare per me in positivo. Può essere un mezzo pericoloso in mano a dei folli ma, ribadisco, può essere una minaccia anche una macchina, una pistola o un microfono.

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