Montage of Heck: Kurt Cobain tra dolcezza, ironia e dramma

di Matteo Lunelli

Montage of Heck è un film del quale tutti conoscono il finale: il protagonista muore. In oltre due ore di pellicola emerge, evidente e insistente, il continuo tentativo di spiegare, in un certo senso anche giustificare, il perché della morte del protagonista, Kurt Cobain. Si entra nella sua vita privata, che è cosa ben diversa dalla vita quotidiana, si raccontano segreti e intimità, in maniera anche dura e violenta: cose che a Kurt non sarebbero piaciute. A lui, però, sarebbero piaciute l'onestà e la sincerità di quelle scene.
Un fan attento, dopo aver visto «Montage of Heck», non scopre nulla di nuovo sulla vita del cantante dei Nirvana: tutto quello che era Kurt, quello che voleva, quello che faceva e si faceva, quello che rappresentava, quello che detestava, quello che avrebbe voluto essere o diventare, c'era già nelle sue canzoni.
Rileggete e interpretate i testi, i giri di chitarra, riguardate come era sul palco, spulciate e analizzate tutto quello che di ufficiale è uscito sulla band dal 1987 al 1994, e vi accorgerete che lì c'è la spiegazione di tutto quello che «Montage of Heck» racconta. Kurt lo dice nel film e lo ha sempre detto: ascoltate la mia musica, lì troverete tutto di me.
Detto questo e nonostante questo, la pellicola di Brett Morgan è da vedere e rivedere. Le immagini inedite di Kurt bambino sono di una dolcezza struggente. Le immagini di Kurt adulto sono un pugno nello stomaco, soprattutto per colpa della maledetta eroina e del maledetto Ritalin, uno psicofarmaco che venne somministrato all'angelo biondo fin da quando aveva 4 anni. Le immagini della band sul palco sono un salto nel passato, che fa venire voglia di tirare fuori dal cassetto quelle vecchie audiocassette e quella ormai sgualcita maglietta che si indossava alle medie o alle superiori.
Per due sere la sala del Modena ha fatto il quasi tutto esaurito di nostalgici ultratrentenni, di ventenni vogliosi di capire e di ultraquarantenni che il rock lo hanno nel sangue. Qualcuno ha pianto, qualcuno è tornato a casa e ha messo Nevermind nel lettore cd a tutto volume, qualcuno è tornato indietro nel tempo, pensando a come era oltre vent'anni fa. 132 minuti di ricordi, sospiri, riff di chitarra e canzoni immortali. Merito, ancora una volta, di Kurt Cobain, che nel film fa scoprire anche il suo lato ironico e divertente, fa emergere il suo indiscutibile talento artistico, mette a nudo le sue debolezze e la sua dolcezza.
Unica, grave ed evidente mancanza: Dave Grohl . Il batterista, oggi cantante e chitarrista dei Foo Fighters, non viene intervistato e non compare praticamente mai. La versione ufficiale parla di questioni di tempistica del montaggio: scusa discutibile. In ogni caso, oggi abbiamo la musica di Dave Grohl: in quella possiamo cercare, e trovare, ciò che l'amico pensa dell'amico scomparso. Come avrebbe voluto Kurt.

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