Giustizia / Cassazione

Prostituzione, confiscate a madre e figlia due case: quasi settecento i clienti che sono stati identificati

L'indagine del carabinieri era stata portata avanti a cavallo fra il Trentino e l'Alto Adige. In particolare la madre si occupava del reclutamento delle donne, grazie a inserzioni pubblicitarie su giornali di lingua cinese venduti a Milano

TRENTO. Madre e figlia erano state arrestate dai carabinieri una decina di anni fa perché accusate di gestire (non da sole ma con un ruolo importante) un giro di prostituzione fra Trentino e Alto Adige. E oltre alle accuse penali nei confronti delle due era scattata anche la confisca di due immobili.

Una decisione che è stata confermata anche dalla corte d'appello di Trento e così le due donne si sono rivolte alla Cassazione. Ma il loro ricorso è stato dichiarato inassimilabile. E dovranno anche mettere mano al portafoglio: sono state condannate a pagare le spese processuali pari a 3mila euro.

Le ragioni della decisione si trovano nella sentenza. Ma partiamo dai motivi che hanno spinto a ricorrere alla suprema corte. Il primo ha toccato il tema dell'errata interpretazione del principio di autonomia visto che il gup - nell'applicare la pena per il reato di sfruttamento della prostituzione - ha «disposto, così come era stato concordato con il pubblico ministero, la restituzione dei medesimi beni che erano stati sottoposti al sequestro penale, sicché essi non possono essere nuovamente sottoposti ad un provvedimento ablativo».

E poi c'è la questione dei soldi utilizzati per l'acquisto delle immobili. Per la difesa ci sarebbe un difetto di correlazione temporale tra l'incremento patrimoniale delle donne e la pericolosità «poiché le due avevano fornito la prova della lecita provenienza e piena disponibilità delle somme, pervenute tramite rimesse dall'estero, impiegate per l'acquisto dell'immobile».

Su questo particolare aspetto la sentenza della Cassazione si sofferma anche in un secondo momento, analizzando un'informazione fornita dalla difesa stessa. Ossia che il denaro utilizzato per l'acquisto degli immobili sarebbe arrivato dall'evasione fiscale.

Ecco il passaggio: «Sono, del pari, inammissibili le censure concernenti la sproporzione tra incrementi patrimoniali e redditi e quelle sulla legittima provenienza delle somme disponibili sul conto corrente delle ricorrenti, in quanto il ricorso si presenta generico là dove si limita a prospettare l'esistenza di rimesse di denaro dall'estero che, oltre ad essere prive di causale o provenire (come il ricorso ammette) da evasione fiscale sono state motivatamente collegate all'accertata ingiustificata esportazione di capitali».

E riguardo alla pericolosità sociale, «deve essere anzitutto precisato che i ricorsi contestano la pericolosità per il periodo anteriore e concomitante all'acquisto degli immobili avvenuto nel 2011, mentre il provvedimento impugnato ha datato l'insorgenza della pericolosità della madre già prima del 2010 e fino al 2012, e quella della figlia fino al 2012, in relazione alla condanna di entrambe per reiterate condotte di sfruttamento della prostituzione che sono caratterizzate dal dimostrato introito di rilevanti somme di denaro, precisando che la figlia è di fatto l'intestataria fittizia, come il ricorso neppure contesta, dei beni confiscati».Insomma quello che era stato confiscato, resta confiscato.

L'indagine del carabinieri era stata portata avanti a cavallo fra il Trentino e l'Alto Adige. In particolare la madre si occupava del reclutamento delle donne, grazie a inserzioni pubblicitarie su giornali di lingua cinese venduti a Milano. Prometteva a ragazze in difficoltà guadagni fino a 3.500 euro al mese. La sua vice sarebbe stata la figlia: sarebbe stata lei la referente di fiducia dei clienti e decideva quanto spettava ad ogni singola ragazza. Quasi settecento i clienti che erano stati identificati. Si tratta di operai, imprenditori, pensionati. E sono disposti a pagare tanto per passare mezz'ora insieme a una ragazza cinese. Si parte dai 50 euro per un rapporto completo con preservativo ai 300 euro per un "massaggio" a domicilio.

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