Energia / Il caso

Pellet, da cinque a 13 euro al sacchetto nel giro di un anno. E c'è speculazione

Imerio Pellizzari (Imprese boschive degli Artigiani Trentini): «Siamo dipendenti dalle forniture provenienti dall'Est Europa sia in termini di legna da ardere che di pellet. Ma dall'Est Europa bloccano tutte le esportazioni, perché anche in quei paesi c'è un'emergenza energetica e hanno deciso di incentivare l'uso interno. Si è creata la tempesta perfetta»

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TRENTO. Da cinque euro fino a tredici euro al sacchetto nel giro di un anno: il prezzo del pellet è quasi triplicato rispetto al 2021. Le cause di questo rincaro stellare vanno ricercate nella crescita della domanda da parte delle famiglie e delle imprese (soprattutto del settore turistico) e nel crollo delle importazioni, con i paesi dell'Est Europa che tengono per sé l'ormai prezioso combustibile.

A ciò si aggiunge l'aumentato costo dell'energia, che va a pesare sulla produzione dello stesso pellet, che richiede molto calore per essere essiccato. Qua e là si registra un po' di speculazione, perché chi ha il materiale (parliamo di grandi fornitori) può cedere alla tentazione di gonfiare il prezzo. E il Trentino è in ritardo: nonostante le grandi risorse boschive, i progetti per lanciare un pellet "trentino" vanno a rilento.

Ne abbiamo parlato con Paolo Sandri, presidente delle imprese boschive degli Artigiani Trentini, e con Imerio Pellizzari, vicepresidente della stessa categoria. Il presidente Sandri dà la dimensione del rincaro: «L'anno scorso servivano 5 euro per acquistare un sacco da 15 chili di pellet, mentre adesso il prezzo va dai 9,50 ai 12 o 13 euro al sacco».

La causa di questo rialzo? Sono crollate le disponibilità sul mercato internazionale: «Entra poco pellet dall'estero, in Italia produciamo solo il 20% dei fabbisogno nazionale di legname», indica Sandri, che sottolinea anche il peso fiscale che grava su questo prodotto: «Tra i problemi c'è anche l'IVA al 22%, è un costo che è a carico del consumatore. L'IVA sul pellet andrebbe equiparata a quella sulla legna da ardere, che è al 10%, essendo considerata bene primario».

I rincari sul gas pesano anche su chi produce il combustibile ottenuto dagli scarti del legno: «Il 40% del costo di produzione del pellet è il costo energetico - precisa Sandri - Serve calore per produrre e per essiccare la materia prima. Crescendo i prezzi del gas cresce anche il prezzo del pellet».

Qua e là, qualche grande produttore che specula sui costi si trova: «Un po' di speculazione c'è, perché chi ha il pellet fa lievitare il prezzo», rileva Sandri. Ma anche a netto dei rincari, il presidente rimarca come il pellet rimanga conveniente anche rispetto alle fonti fossili, in particolare il metano, come d'altronde conferma l'Aiel - Associazione italiana energie agroforestali, che indica in 199,35 il rapporto euro/kwora per il pellet e in 264 euro/kwora per il metano.

Il Trentino, con la sua cultura del legno e le sue vaste risorse boschive, non riesce a far decollare la sua produzione autoctona: «In Trentino sono stati fatti dei progetti, ma stiamo aspettando delle risposte dalla Provincia, risposte che non arrivano. In Trentino le segherie producono un milione di metri cubi di legname, ma tutto lo scarto che potrebbe essere lavorato in Trentino viene esportato, eppure potrebbe generare del PIL».

Il vicepresidente di categoria Imerio Pellizzari ha sottolineato la nostra dipendenza dall'estero: «Siamo dipendenti dalle forniture provenienti dall'Est Europa sia in termini di legna da ardere che di pellet. Ma dall'Est Europa bloccano tutte le esportazioni, perché anche in quei paesi c'è un'emergenza energetica e hanno deciso di incentivare l'uso interno. Si è creata la tempesta perfetta».

In merito alla disponibilità di pellet sul mercato, Pellizzari è tranchant: «Pellet non ce n'è: costa 1000 euro al quintale e lo consegnano a gennaio con i prezzi di gennaio. Ricordiamo la favola della cicala e della formica: cercare materiale combustibile in questo periodo è molto difficile. Tutti si stanno rivolgendo al pellet».

Il vicepresidente invita a tenere i nervi saldi, pur non nascondendo le difficoltà: «Non bisogna andare nel panico, dobbiamo accettare la situazione di quest'anno e programmare l'anno prossimo. Piano piano si sta sviluppando anche il prodotto trentino, ma ci vuole tempo, ci vorrà tutta questa stagione».

Pellizzari sottolinea come l'emergenza abbia preso in contropiede il sistema-paese: «Mi ricorda ciò che avvenne a inizio pandemia quando non c'erano mascherine, non eravamo nemmeno in grado di produrne e dipendevamo dall'estero: il Covid non ci ha insegnato niente».

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