Ambiente / L’incontro

«Blocchiamo tutto, per salvare il pianeta»: cronaca di un aperitivo con i ribelli del clima

Abbiamo incontrato la sezione trentina di Extinction Rebellion: una ventina di attivisti dai 14 ai 60 anni e 170 seguaci su Telegram. Basta parlarci cinque minuti per rendersi conto che, più che estremisti rivoluzionari, sembrano dei pacifici gandhiani

di Jacopo Strapparava

TRENTO. I più attenti dei nostri lettori forse li conoscono già. Affisso qua e là, sui muri di Trento, campeggia il loro simbolo: una clessidra stilizzata (a indicare che «non abbiamo più tempo»).

Durante il ponte dell’Immacolata, hanno manifestato in via San Vigilio, sedendosi per terra (avevano tentato di farlo pure tra le bancarelle di piazza Fiera, ma li hanno cacciati subito).

E la settimana scorsa, al Da Vinci, i prof li hanno invitati a tenere lezioni sull’attivismo verde, durante le ore di educazione civica. I lettori meno attenti sappiano che si tratta delle ultime azioni della costola trentina di Extinction Rebellion, in sigla XR, il movimento ambientalista che, contro i cambiamenti climatici, propugna la ribellione.

Extinction Rebellion è nato in Inghilterra nel 2018, peraltro prima che a Stoccolma Greta Thunberg iniziasse il suo sciopero della scuola. I due fondatori, tali Gail Bradbrook e Roger Hallam, attivisti ambientalisti, resisi conto che il semplice volantinaggio lasciava il tempo che trovava, si misero a studiare la storia. Si appassionarono ai grandi movimenti non-violenti di massa: le suffragette, Gandhi, Martin Luther King. E ne trassero ispirazione.

Le loro richieste sono le classiche: no agli allevamenti intensivi, no allo smog, no alla spesa in armamenti, no agli idrocarburi, no all’alta velocità.

Ma sono le loro azioni a essere strepitose. Si sdraiano per la strada, si arrampicano sui treni, si incollano – letteralmente - alle vetrine dei negozi, montano accampamenti improvvisati nei punti più improbabili, costringendo la polizia a sgomberarli. Sono arrivati a teorizzare, con una specie di algoritmo, che il numero minimo di arresti per costituire un costo sociale troppo alto per essere ignorato dalle autorità è di mille persone.

Nella primavera 2019 paralizzarono per una settimana il centro di Londra, occupando fisicamente Oxford Circus e Marble Arch e trasformando Oxford Street in una specie di grande zona pedonale.

Nell’ottobre di quell’anno, prima che arrivasse la polizia a portarli via, tentarono persino di bloccare tutti gli accessi al palazzo di Westminster nel giorno dell’apertura del Parlamento, bloccando dentro la regina Elisabetta.

Tutto ciò, nel mondo anglosassone, li ha resi famosissimi. Li sostengono Emma Thompson, l’attrice premio Oscar, e Carola Rackete, la ragazza della Sea Watch che, nel giugno 2019, forzò il blocco navale attorno a Lampedusa mandando fuori dai gangheri Matteo Salvini. Whoopi Goldberg, quella di Sister Act, ha prestato la voce a un loro documentario. E persino Rowan Williams, arcivescovo emerito di Canterbury, si unì a una loro manifestazione, portandosi dietro prelati e prelatesse (ci sono anche i vescovi donna, lassù…).

In Italia, dove queste cose fanno più fatica ad attecchire, qualcuno li ha definiti «eco-estremisti».

Luigi Ippolito, sul Corriere della Sera, ha scritto: «Non si capisce se siano fanatici esaltati o romantici idealisti». Per provare a capirlo, nel nostro piccolo, abbiamo contatto la sezione trentina – una ventina di attivisti dai 14 ai 60 anni e 170 seguaci su Telegram. Sennonché, intervistare il loro capo non è possibile («Non abbiamo leader»). Visitare la loro sede nemmeno («Ci organizziamo su internet»).

Appreso però che ogni settimana, il mercoledì sera si riuniscono per un aperitivo, abbiamo fatto due più due.

Così, eccoci qui, alla Bookique, in via Torre d’Augusto. Seduti davanti a noi: Pietro, Pascal, Silvana, Bianca, Giacomo. Vanno dai 20 ai 29 anni. Tra loro si chiamano «ribelli».

Ma basta parlarci cinque minuti per rendersi conto che, più che estremisti rivoluzionari, sembrano dei pacifici gandhiani.

Il loro gruppo si è costituito nel 2019. C’erano anche loro, nel novembre di quell’anno, a «bloccare» la rotatoria dell'area Zuffo (era un Black Friday divenuto «Block Friday»). Hanno collaborato con gli studenti di Friday for Future almeno fino a quando, a Trento, quel movimento è imploso, dilaniato, come nella migliore tradizione, da una scissione interna tra dialoganti e oltranzisti. «Lottiamo per la stessa causa, ma con modalità differenti».

«I nostri obiettivi sono tre. Primo: dire la verità sulla crisi climatica, e convincere tutti.

Secondo: emissioni di CO2 a zero nel 2025. Terzo: istituire assemblee di cittadini estratti a sorte per discutere di politica. Il primo, bene o male, è già raggiunto. Il secondo è inevitabile, lo dice la scienza.

Il terzo è lo strumento politico per ottenerlo». La scorsa estate, per inciso, una mozione sulle assemblee cittadine è stata davvero portata in consiglio comunale dai Verdi e Futuro. Ma i nostri cinque amici, sorseggiando una birretta, dicono di non volersi candidare.

Anzi, tradiscono un lieve imbarazzo che sarebbe poco adatto a un politico quando chiediamo se tra loro vi siano vegani, fruttariani, gente che va in giro scalza - «La verità è che non ne parliamo. Non è importante cosa fa il singolo, l’importante è unire le forze» - e proviamo a capire cosa pensino del ministro Cingolani, odiatissimo dagli ecologisti, che proprio la settimana scorsa, parlando in videoconferenza a 17 mila studenti, ha fatto notare che i social inquinano tanto quanto gli aerei e che il modo migliore per cambiare il mondo è studiare e impegnarsi nel lavoro, altro che saltare la scuola il venerdì.

«Lungi da noi esprimere un giudizio sulle persone. Un principio della comunicazione non violenta è non giudicare nessuno, anche se allo stesso tempo vogliamo lottare contro questo sistema tossico».

Altra domanda: sedersi per terra, montare accampamenti, bloccare le rotatorie… ma che vi dicono i vostri cari?

«Avverto molta preoccupazione nei miei genitori» risponde Giacomo, un po’ titubante. «Loro non hanno mai fatto attivismo politico». Poi si fa forza, e tira fuori una di quelle frasi che escono bene, perché ci si ha rimuginato sopra a lungo: «D’altra parte, per me è intollerabile stare seduto senza fare niente.

Questa è l’emergenza più grave della storia: siamo davanti a un’estinzione di massa. Devo mettermi in gioco con il mio corpo, con il mio amore per tutti i viventi, con tutta la nonviolenza possibile».

Silvana gli viene in soccorso. «Molti ribelli all’inizio sono solitari, poi vengono raggiunti dalla famiglia.

La passione è il nostro “combustibile”» dice, mettendosi a ridere per aver usato proprio quella parola.

È Silvana, quando l’aperitivo è quasi finito e i più se ne stanno andando, a dire la cosa più importante: «All’inizio, alle manifestazioni, nessuno ci conosceva. Ora, quando la gente ci ferma, dice: “Certo, sappiamo chi siete”».

Prima di andarcene anche noi, ci togliamo una curiosità: ma questa cosa dell’incollarsi, esattamente, come funziona?

«Ci portiamo dietro l’Attack», risponde Giacomo, puntuale.

«Lo stendiamo sulle mani e ci attacchiamo alle vetrine. Io l’ho fatto lo scorso luglio, al G20 di Venezia. C’era così caldo che non è servito nemmeno lo scollante». E i poliziotti? Qui il nostro amico ribelle si lascia andare a un sorriso. «Be’, non avevano mai visto niente del genere».

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