Mafie / Il racconto

Lona Lases, il porfido, la ‘ndrangheta: storia di un dibattito partecipato, quasi interrotto dai Carabinieri, e con l’eccellente assenza dei responsabili politici

Sala piena, venerdì sera, nel Comune cembrano: un lungo excursus sul «fiume di soldi in nero» che hanno attraversato la valle dagli anni Ottanta e di come tutti si sono voltati dall’altra (o ne hanno approfittato politicamente)

di Giorgia Cardini

LONA LASES. Una risposta così, forse non se la aspettavano neppure gli organizzatori: il teatro di Lona venerdì sera si è riempito, per il dibattito organizzato dal Clp e QuestoTrentino sulla presenza dell'ndrangheta in Valle di Cembra e in Trentino.

Non è stato un processo prima del processo ("Perfido" si aprirà il 13 gennaio a Trento, le conclusioni spetteranno ai magistrati) ma l'analisi di una realtà che già negli anni Ottanta - se gli occhi si fossero aperti prima - presentava vistosi indebolimenti, tali da renderla infettabile dal "virus" della criminalità organizzata.L'evasione fiscale.

A fornire elementi di riflessione su questo è stato Walter Ferrari del Clp: tra gli anni '82 e '86, il reddito medio dichiarato di 32 soggetti riconducibili a 24 società operanti nel settore del porfido era stato di 1,7 miliardi di lire mentre il reddito accertato dal Fisco era di 5,2 miliardi. Negli stessi anni otto aziende del settore avevano dichiarato 1,2 miliardi di fatturato, mentre quelli accertati furono poi 3,4 miliardi. Un terzo di quanto dichiarato.

Controlli fatti a campione, ma se il modello fosse applicato alle 120 imprese operanti allora nel settore, l'evasione totale solo in quegli anni sarebbe stata di 33 miliardi di lire. Soldi sottratti anche al territorio, ai servizi, alle opere pubbliche.

La deregulation in cava. L'esternalizzazione del lavoro dagli anni '90 in poi, con la trasformazione degli operai in artigiani e partite Iva, è stata un altro fenomeno che ha portato a storture nei rapporti di lavoro e nel mercato, con aziende ligie alle regole svantaggiate rispetto a quelle più spregiudicate. «Anche a me - ha testimoniato in sala coraggiosamente l'ex assessore Carlo Filippi, per vent'anni operaio - hanno proposto pagamenti in nero. Ho sempre rifiutato, ma molti hanno accettato, era un sistema che inizialmente ti arricchiva, in cui ti infilavi senza accorgertene: ma un piccolo pezzo insieme a tanti altri fa massa. Mi sono chiesti poi come faceva a girare tutto quel contante?».

«Così, in vent'anni il porfido è morto - ha concluso Filippi - ma non abbiamo perso solo la nostra economia, abbiamo perso anche il nostro futuro perché non siamo più neppure in grado di esprimere un sindaco e un consiglio comunale».

Comuni permeabili. A questo ha portato la gestione delle cave a Lona Lases, dove nei consigli, nelle giunte comunali e nelle amministrazioni sono stati seduti sempre imprenditori del settore o loro parenti (controllori e controllati erano le stesse persone, insomma) e dove i canoni di estrazione della roccia erano e sono ancora ridicolmente bassi.

I dati Legambiente parlano: nel 2016 in Trentino sono stati estratti 847 mila mc di pietra ornamentale, di cui circa 650 mila di porfido per un valore di mercato di 250 milioni: i canoni pagati ai Comuni sono stati 5 milioni. Se fosse vigente quanto vale in Gran Bretagna, dove si paga il 20% del valore di mercato di quanto si estrae, ai Comuni del porfido sarebbero arrivati 59 milioni...

A Porfidopoli, poi, per trovare una concessione estrattiva all'asta bisogna andare indietro di anni: di proroga in proroga, si sono generate quelle rendite di posizione, quel sistema chiuso da "fortino" che interessa all'ndrangheta, come ha ribadito il sociologo Alberto Marmiroli (intervistato su questo venerdì dall'Adige) parlando delle analogie tra la presenza accertata di 'ndrangheta in Emilia e quella sotto processo in Trentino.

Analogie approfondite da Luigi Gaetti, ex sottosegretario ed ex vicepresidente della commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi tra 2013 e 2018 partendo dalla complessità della procedura di scioglimento per infiltrazioni mafiose dei Comuni e dalle speranze (deluse) di una sua semplificazione nel corso di questa legislatura, in cui si sono moltiplicati i segnali della presenza della 'ndrangheta in tutte le regioni del Nord.

Una mafia di tipo economico, in grado di influenzare pesantemente il voto nei territori, conquistati dopo averne "corrotto" il sistema: corruzione prima di tutto etica, che porta nella rete dei mafiosi soggetti iscritti ad albi professionali e che dovrebbero rispondere a codici deontologici, imprenditori, politici e persino magistrati, come hanno evidenziato anche gli atti dell'inchiesta Perfido.

Cosa fare per evitare che le mafie si espandano ancora? «Tagliare i rami aumentando il controllo sugli enti pubblici, evitare le contiguità, le cointeressenze. I cittadini si muovano» ha esortato Gaetti. Ed evitare che il silenzio cali.

In sala piombano i Carabinieri. Ha rischiato però di essere interrotto a metà il dibattito di venerdì sera, quando una pattuglia dei carabinieri ha chiesto di entrare a controllare tutti i green pass già sottoposti scrupolosamente dagli organizzatori a verifica elettronica a inizio serata. Battibecco all’ingresso e solo l’intervento di Vigilio Valentini del Clp ha evitato un “blitz” ritenuto “provocatorio” dall’ex sottosegretario Luigi Gaetti, che farà una segnalazione ai vertici dell’Arma.

“Incidente” a parte, per uno spinoso dibattito come quello di venerdì la presenza di 63 persone è stata sicuramente un successo. Ma si sono contati sulle dita di una mano i cittadini del comune cembrano finito al centro dell’inchiesta “Perfido”, che il 13 gennaio porterà per la prima volta in Trentino all’apertura di un processo di ’ndrangheta.

A spiccare sono state anche le assenze del commissario straordinario Federico Secchi che regge Lona Lases fin dalle dimissioni dell’ultimo sindaco Manuel Ferrari (pure assente), degli amministratori delle Asuc e dei Comuni dove il porfido è importante risorsa (come il confinante Albiano, ma anche Fornace e Baselga di Pinè: c’era solo il presidente dell’Asuc di Miola Massimo Sighel), dell’assessore provinciale agli Enti locali Mattia Gottardi (che con Civica Trentina a Lona Lases prese 42 voti nel 2018 facendo “ticket” con l’ex sindaco di Lona Lases Marco Casagranda, cui ne andarono 48), degli industriali, dei sindacati e dei tanti politici che da oltre un anno fanno finta che nulla sia accaduto. D’altra parte né i Comuni del porfido, né la Provincia, né Confindustria si sono costituiti parti civili nel processo che sta per iniziare. Lo ha ricordato il consigliere provinciale del M5S Alex Marini, che ha invano proposto più volte l’istituzione di un Osservatorio regionale contro le mafie e lo ha sottolineato il direttore di QuestoTrentino Ettore Paris.

Tra i presenti, invece, l’ex segretario comunale Marco Galvagni in rotta coi vari sindaci per le sue segnalazioni sui conflitti di interessi, studenti universitari attivi contro le mafie, cittadini provenienti anche da altri luoghi come Arco. E parenti di imputati. Tra questi i figli dei fratelli Pietro e Giuseppe Battaglia ( ex assessore esterno a Lona Lases) e il figlio di Innocenzio Macheda, intervenuto per difendere il padre 63 enne, malato e carcerato da oltre un anno, definito un “onesto lavoratore”.

Parole che hanno suscitato reazioni accese, come quelle dell’ex deputato autonomista Mauro Ottobre, la cui posizione nell’indagine è stata stralciata (l’accusa era di scambio elettorale politico mafioso per un incontro con Macheda). Ottobre ha espresso dubbi sull’inchiesta e sull’operato del Csm da cui è derivato il trasferimento di 4 magistrati di Trento finiti sotto la lente per i rapporti con alcuni indagati. Dubbi per altro imprecisati, e smontati come la presunzione dei trentini di essere superiori a certe cose.

comments powered by Disqus