Mail aziendali piratate da una banda di hacker Dirottato dal conto un bonifico di 600mila euro Polizia e Finanza arrestano 7 persone - Video

È il web la nuova frontiera del crimine dove le truffe corrono via posta elettronica. I responsabili sono hacker che riescono a penetrare, senza che la vittima se ne accorga, nelle mail. È accaduto ad un’azienda trentina del settore siderurgico che aveva venduto un macchinario ad una società bosniaca: i cyber criminali hanno intercettato il pagamento da 600 mila euro e lo hanno dirottato, attraverso un carosello di società in Italia e all’estero, per poi riportare in Italia il denaro, frutto della frode.


Questa volta però ad attenderli c’erano gli investigatori di Guardia di Finanza e Polizia di Stato che hanno arrestato 7 persone sequestrando anche due appartamenti, auto di alta fascia e oggetti d’arte.

La tecnica fraudolenta, che presuppone conoscenza informatiche di alto livello, è nota come Bec che sta per Business Email Compromise (cioè  compromissione della email aziendale). È uno dei più innovativi sistemi utilizzati per perpetrare frodi informatiche: attraverso sofisticati sistemi di hackeraggio, vere e proprie bande di cyber criminali prendono di mira le caselle di posta elettronica di aziende e professionisti, per controllarle segretamente e fare in modo che riescano a inviare messaggi ai loro clienti, vittime delle “truffe”, per dirottare pagamenti relativi all’acquisito di beni e servizi nelle mani dei sodalizi criminosi.

Questa volta nella rete informatica della criminalità 2.0 sono finite - inconsapevoli finché non sono spariti i soldi -  una società di Levico del settore siderurgico ed una società bosniaca, che da alcuni mesi portavano avanti una trattativa per la cessione, da parte dell’azienda italiana, di un costoso macchinario industriale. Senza che le due società si accorgessero, i criminali informatici erano riusciti a prendere il controllo della posta elettronica. La corrispondenza continuava ad arrivare ma veniva letta anche dai truffatori. Questi intercettavano  i messaggi in entrata, inviati dal cliente bosniaco, per definire le modalità di pagamento di un macchinario prodotto dal fornitore italiano, creando delle risposte fraudolente ad hoc, spedite con l’indirizzo di posta della società trentina.

Nelle mail fasulle venivano comunicati anche gli estremi del conto corrente bancario ove bonificare l’importo dovuto, pari a 600.000 euro. Il denaro è finito così sul conto di una società fantasma di Bologna e da lì ha iniziato un lungo “viaggio” per riciclare il denaro illecitamente sottratto. Gli investigatori della Squadra mobile di Trento (con i supporto tecnico della Polizia postale) e gli uomini del Nucleo di polizia economica-finanziaria della Guardia di finanza (in collaborazione con i colleghi del Computer Forensics and Data Analysis) hanno seguito le tracce del  “bottino”. L’importo era stato frazionato e veicolato attraverso nuovi bonifici verso i conti correnti di sei società “fantasma” con sede a Milano, Modena e Reggio Emilia. Il tutto accompagnato da false causali per il pagamento di fatture inerenti cessioni di beni. Le somme, così frazionate, venivano poi  bonificate verso quattro conti correnti esteri di altrettante società con sedi in Bulgaria, Ungheria, Slovenia e Gran Bretagna; un conto corrente polacco intestato ad un prestanome italiano; un conto corrente italiano di un prestanome senegalese.

Il denaro finito all’estero, infine, rientrava in Italia attraverso bonifici disposti dai medesimi conti correnti stranieri verso i conti nazionali di due società “fantasma” modenesi e di due prestanome, per poi essere ritirato in contanti e quindi “volatilizzarsi” nelle mani degli indagati.
Intanto però sui truffatori  del web si chiudeva il cerchio delle indagini coordinate dal pm Carmine Russo. Negli ultimi giorni 80 tra poliziotti e finanzieri trentini, hanno eseguito numerose perquisizioni a Belluno, Bergamo, Bologna, Brescia, Lodi, Milano, Modena, Reggio Emilia, Udine e Verona, presso le sedi societarie e i domicili degli indagati, sette dei quali (cinque italiani, un rumeno e un cingalese) sono stati tratti in arresto su ordinanza cautelare emessa dal gip di Trento. Gli investigatori hanno anche dato esecuzione ad un provvedimento di sequestro per equivalente su alcuni beni nella disponibilità degli indagati - una Jeep Wrangler, una Cadillac Escalade, due appartamenti, preziosi e alcuni quadri di valore - fino alla concorrenza dei 600 mila euro illecitamente sottratti alla società bosniaca. Uno degli indagati risulta beneficiario di  di reddito di cittadinanza.

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