Morì nella caserma della Folgore L'amico: vittima del nonnismo

Diciassette anni prima di Giulio Regeni un altro giovane italiano è morto senza un perchè ufficiale. Non in un Paese straniero, governato da un regime militare. Ma a Pisa, in una caserma della Folgore. E, come nel caso del ricercatore friulano, c'è una mamma che non si dà pace e cerca giustizia.

Oggi Isabella Guarino, madre di Emanuele Scieri, è stata ascoltata - come primo atto dell'organismo - dalla Commissione parlamentare d'inchiesta costituita per fare luce sulla vicenda.

"Vogliamo finalmente la verità", è stato il suo grido. Scieri, siracusano di 26 anni, laureato in legge, ragazzone prestante e solare, in quell'estate del 1999 indossa la divisa per fare il servizio militare nei parà. Dopo il Car (Centro addestramento reclute) a Scandicci (Firenze), viene mandato alla caserma Gamerra di Pisa. Inizia da qui il racconto di Isabella Guarino in Commissione. Il 13 agosto, ricorda, "era stato trasferito a Pisa per continuare il servizio nella Folgore. Lui ci telefonava ogni sera verso le 20 e quel giorno era molto sereno e contento, mi disse 'sono sotto la Torre di Pisà e quindi io ero tranquilla, senza preoccupazioni ed angoscia".

Ma quella fu l'ultima volta che la donna sentì il figlio. Sabato 14 agosto, prosegue il racconto di Guarino, "avevo aspettato invano che chiamasse, ma pensavo che forse nella nuova caserma non era riuscito a telefonare. Passa anche il giorno di Ferragosto senza notizie ed il 16 arriva una telefonata, io grido 'Emanuelè, ma non risponde nessuno. Avevano probabilmente chiamato per sapere se eravamo in casa a Lido di Noto, dove stavamo in villeggiatura. Dopo pochi minuti i carabinieri bussano alla porta e ci chiedono se Emanuele aveva problemi e noi, storditi, rispondiamo che era tranquillo e non aveva mai manifestato problemi.

Dopo ci dicono che è morto, l'avevano trovato ai piedi di una torretta e la cosa inaccettabile è che il ragazzo sia rimasto tre giorni lì senza che nessuno l'abbia trovato. Dalla sera del 13, quando non aveva risposto al contrappello in camerata, fino al 16. Sotto il caldo infernale il corpo si è decomposto e quando siamo andati a Pisa non siamo riusciti neanche a vederlo per dargli un'ultima carezza".

"Io - è l'appello della donna - sono qua nella speranza che si possa far luce su un caso assurdo. Non sappiamo cosa gli sia capitato la sera del 13 agosto. Sappiamo che è stato ucciso in quella caserma perchè Emanuele non è mai uscito da lì e nessuno ci ha saputo dire chi è il responsabile".

Ad ipotizzare cosa possa essere successo al giovane è l'amico Carlo Garozzo, dell'associazione 'Giustizia per Lelè, che punta il dito contro i vertici della caserma accusati di depistaggi ed "infinite omissioni". Sostennero, ricorda con rabbia, "che cadde da quella torretta perchè osservava una ragazza affacciata sul balcone di una palazzina limitrofa, oppure perchè cercava campo con il telefonino o perchè stava facendo da solo una prova di coraggio". Si tratta, sostiene, "di affermazioni infamanti, come quelle di chi ha parlato di suicidio: Emanuele amava la vita e non avrebbe mai fatto un gesto insano.

La verità è che è stato ucciso in una caserma italiana, a casa dello Stato. Quel giorno potrebbe aver incontrato alcuni militari che, non sapendo cosa fare in una calda serata di agosto, hanno ritenuto opportuno praticare a lui quello che hanno subito loro stessi, obbligandolo a salire su quella torretta, per finire vittima di atto di nonnismo finito male. E credo che sia stato lasciato lì agonizzante per ore; per questo non ci fermeremo mai nella ricerca della verità".

La presidente della Commissione, Sofia Amoddio (Pd), si è detta impegnata "ad andare avanti velocemente. Speriamo che qualche parà tornato alla vita civile possa raccontare cosa è successo quella sera e denunciare i responsabili". La vicepresidente Stefania Prestigiacomo (Fi) assicura che "non sarà tralasciato nulla, andremo fino in fondo, senza differenze di app  artenenze politiche. L'auspicio è di restituire la verità ai familiari, dare un senso, una ragione di quella morte".

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