Lavoro nelle festività? Si può dire di no Tre cassiere dell'Eurospin vincono in tribunale

La sentenza è storica: lavoratrici e lavoratori del commercio non saranno più obbligati a lavorare durante le festività. Attenzione però: non si tratta delle domeniche, che sono regolamentate e contrattualizzate in altro modo, ma di dodici giorni all’anno, considerati appunto festività.  Nello specifico sono l’1 e il 6 gennaio, il 25 aprile, Pasqua e Pasquetta, l’1 maggio, il 2 giugno, il 15 agosto, l’1 novembre, l’8 dicembre, 25 e 26 dicembre: in questi dodici giorni un’azienda può tenere aperto, ma un dipendente non è obbligato ad andare a lavorare. La causa è stata vinta da tre addette alla cassa trentine che, sostenute nella loro battaglia dalla Uil Tucs, hanno portato davanti al giudice il proprio datore di lavoro, ovvero Aspiag Service Srl, sede legale a Bolzano, in sostanza la compagnia che controlla Despar ed Eurospar.
 
La vicenda è iniziata tre anni fa: le tre donne avevano espresso la volontà di non lavorare durante due di quei dodici giorni. L’azienda le ha inserite comunque nel turno, considerato che nei loro contratti di assunzione le lavoratrici avevano firmato l’obbligo di lavoro anche festivo. Le tre, tuttavia, non si presentarono e a quel punto il datore prese dei provvedimenti, ovvero delle sanzioni disciplinari, nei loro confronti. L’8 marzo («una data che ha anche una valenza simbolica», sottolineano alla Uil) il giudice del lavoro del tribunale di Rovereto ha dato ragione alle tre donne.
 
«Si tratta delle prima istanza e immaginiamo ci sarà un ricorso - dicono Walter Largher e Matteo Salvetti della Uil - ma la sentenza è storica e crediamo possa avere una valenza nazionale. Il giudice ha detto chiaramente che un’azienda è libera di tenere aperto quando vuole, ma un dipendente è altrettanto libero di non lavorare in quei dodici giorni di festività. Chi non vuole dovrà comunicarlo e avrà il diritto di restare a casa con la famiglia. La sentenza, tra l’altro, riguarda direttamente il contratto di lavoro delle tre dipendenti della filiale Eurospar di Arco, che avevano firmato l’obbligo di presenza anche nelle festività: il giudice ha detto che l’azienda non può imporre, ha detto che quella clausola è nulla».
 
Quindi anche chi avesse firmato un contratto con degli obblighi, da martedì scorso può dire no, senza temere sanzioni o ritorsioni. «Lo status familiare di un dipendente - sottolineano i rappresentanti sindacali - può ovviamente cambiare nel corso degli anni: magari nei primi anni di lavoro si preferisce guadagnare un po’ di più e dare la disponibilità anche durante le festività. Però poi le carte in tavola possono variare e una persona può decidere di preferire i figli o il riposo a un turno il giorno di Pasquetta. La sentenza vale per i lavoratori dell’intero settore. E, sia chiaro, per noi non si tratta di una questione contro Aspiag: noi ci teniamo a stare dalla parte dei diritti di tutti, che siano dipendenti di Despar, Poli, Sait, Aspiag o Conad. Siamo con loro, non contro qualcun altro».
 
Data la notizia di giornata, Walter Largher e Matteo Salvetti si sono soffermati su qualche ragionamento in merito al settore commercio, sempre legato alla sentenza dell’8 marzo. «Circa il 70% dei dipendenti sono donne e quindi per loro le esigenze possono cambiare nel corso degli anni. Inoltre le tre del ricorso sono tutte under 40, una è nonna e una una mamma divorziata, quindi è comprensibile che in quei dodici giorni dell’anno preferiscano fare altro. Quanto detto dal giudice del lavoro è rilevante anche perché sempre più aziende legate alla grande distribuzione tengono aperto anche di notte e anche a Natale, anche se abbiamo notato che non c’è nessuna correlazione tra più aperture e più posti di lavoro. Anzi...»

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