L'abbraccio degli amici a Roberto e Marco

Una commozione enorme per due giovani vite spezzate. Parenti e familiari in lacrime per Roberto Sartori, 33 anni e Marco Fedrigoni (20), che l'altra sera hanno perso la vita nel tremendo schianto sulla provinciale che collega Lasino a Stravino

Una commozione enorme per due giovani vite spezzate. Parenti e familiari in lacrime per Roberto Sartori, 33 anni e Marco Fedrigoni (20), che l'altra sera hanno perso la vita nel tremendo schianto sulla provinciale che collega Lasino a Stravino. Questa sera sul Doss Trento si suonerà nel nome di Roberto, visto che l'infermiere aveva lavorato per mesi per l'evento. Strazio a casa Fedrigoni: il ragazzo aveva appena fatto la comparsa nel film di Tornatore e pochi minuti prima dell'incidente ha spedito un messaggio audio alla mamma.

IL RICORDO DI ROBERTO

«Era buono. E testardo». Gli amici, i familiari e Giulia, la fidanzata di Roberto Sartori, trovano tutti le stesse parole per descrivere il 33enne morto mercoledì sera in valle dei Laghi assieme a Marco Fedrigoni, il ventenne di Arco a bordo dell'auto che Roberto si è trovato davanti, non riuscendo ad evitare lo scontro.
Testardo - « zùc », sottolinea per rendere ancor meglio l'idea Giulia, con un sorriso malinconico - ma in senso buono. Determinato, come quando aveva deciso di riprendere in mano gli studi per diventare infermiere. O come quando, anno dopo anno, si impegnava assieme proprio a Giulia, al fratello Michele ai tanti amici, per organizzare quella festa sul Dos Trento che stava allestendo anche in questi giorni e andrà in scena anche questa sera, trasformandosi in un tributo, per lui che non c'è più.
Era stato determinato e testone anche nel non mollare la sua passione per la moto, Roberto, rimettendosi in sella anche dopo l'incidente di qualche anno fa: «Anche allora - ricordano gli amici - un'auto era sbucata sulla sua strada». Non certo un modo per prendersela con il povero Marco Fedrigoni, piuttosto contro un destino crudele perché - hanno spiegato - «quello che è successo è successo, e il nostro dolore è lo stesso dei familiari e degli amici di quel ragazzo».
«Non c'era stato nulla da fare - racconta ancora Giulia, sempre con quel sorriso tirato di chi prova a sfoderarlo per cercare di proteggersi da un dolore troppo grande - non ne aveva voluto sapere di rinunciare alla moto».
E mercoledì sera ha capito subito quel che era accaduto, Giulia: «L'ho capito appena ho visto le foto sui siti internet. Sapevo dov'era, sapevo com'era la sua moto. C'era l'uno per cento di possibilità che non fosse lui. E poi ho riconosciuto il casco».
Vivevano assieme in via Matteotti da otto anni, Roberto e Giulia, assieme ai loro due gatti e al loro cane. Insieme avevano superato il brutto momento del precedente incidente, a seguito del quale lui, che allora lavorava come meccanico, aveva dovuto cercarsi un impiego diverso. E aveva deciso di rimettersi a studiare, fino a diventare infermiere e a trovare posto alla Rsa Cavedine. Ed ora il posto alla Rsa Margherita Grazioli di Povo, ottenuto da poche settimane, che gli avrebbe permesso di rimanere vicino a casa».
Una novità che qualche giorno fa Roberto aveva anche festeggiato nella casa di via Matteotti, tanto era soddisfatto. «C'ero anch'io - spiega Jacopo Broseghini, dei Bastard Sons of Dioniso, che Roberto aveva conosciuto e apprezzato grazie all'impegno del 33enne nell'organizzare le feste musicali come quella del Dos Trent - ed ora non mi sembra vero, non mi sembra possibile di essere qui a piangerlo».
Lacrime, come quelle della sorella Monica, inconsolabile nella casa dei nonni paterni a Maderno, dove per tutto il giorno, ieri, gli amici hanno cercato di lenire il suo dolore. Enorme, come quello dei genitori e dell'altro loro figlio, Michele. Nella loro casa di Tenna, papà Italo ha cercato di nasconderlo dietro agli occhi lucidi di un uomo forte, solido, ma piegato dalla sofferenza, mentre mamma Silvana nemmeno riusciva a capacitarsi, di tanta tristezza piombata sulla loro quotidianità all'improvviso. «È difficile riuscire a dire qualcosa, ricordare Roberto, perché in momenti come questi non vuoi ricordare».
Perché ricordare, non può fare altro che ampliare la sofferenza, con i pensieri legati ad un figlio andatosene così che anziché essere dolci, si tramutano in un tormento.
La salma del giovane, quest'oggi lascerà la camera mortuaria del cimitero di Trento, per essere ricomposta in quella di Pergine. La data del funerale verrà probabilmente fissata quest'oggi.

IL RICORDO DI MARCO

«Ho finito, sono partito e torno a casa». La voce di Marco risuona nella casa di via S. Sisto, ad Arco, zona alle spalle dell'ospedale S. Pancrazio. Dolce, come sempre, ma stavolta beffarda, come solo il destino a volte sa esserlo. È l'ultimo messaggio vocale inviato mercoledì da Marco a mamma Marta. Sono le 19.30, appena un quarto d'ora prima del micidiale schianto che gli costerà la vita, a quell'incrocio maledetto di Lasino.
«Ma cosa ci faceva lassù Marco?», si sono chiesti mercoledì sera e poi ieri in tanti quando hanno appreso la terribile notizia della sua morte. Marco Fedrigoni stava scendendo dal Bondone dove negli ultimi giorni ha partecipato come comparsa alle riprese trentine dell'ultimo film di Giuseppe Tornatore, «La corrispondenza». Riprese concluse proprio mercoledì sera, tanto che la troupe è partita ieri mattina, ignara di quanto accaduto a pochi chilometri di distanza ad un ragazzo di appena vent'anni che non doveva morire così presto. Ma Marco, con il suo aspetto solare e la sua determinazione, aveva impressionato tutti e gli avevano garantito che lo avrebbero chiamato per altre riprese da girare prossimamente nella zona di Malcesine.
Nella casa di via S. Sisto è una processione di dolore, un dolore composto, discreto, ma di quelli che ti lacerano il cuore e l'anima. C'è mamma Marta, Marta Pasini, oggi casalinga, in passato assistente domiciliare presso la Cooperativa Arcobaleno di Riva. Ci sono le sorelle Francesca e Michela, più grandi di Marco. E Andrea, il fratello più piccolo nato dal secondo matrimonio del papà, Cornelio Fedrigoni, per anni comandante della stazione dei Carabinieri di Lasino. Sì, proprio Lasino. Lì dove è morto il figlio.
La salma di Marco è stata composta nella camera mortuaria di Trento. Se oggi arriverà il nulla-osta della magistratura, domani mattina alle 11 verrà portata al cimitero di Arco per una breve cerimonia di commiato in forma strettamente privata. Ieri in via S. Sisto sono accorsi famigliari e amici, e tantissimi dirigenti, tecnici e giocatori sia della Varonese Calcio (la società nella quale ha dato i primi calci al pallone all'età di 6 anni) che della Benacense, nelle cui fila ha disputato gli ultimi due campionati. Marco Fedrigoni aveva giocato anche con gli Juniores nazionali del Dro e proprio sul sito e sul profilo Facebook della società droata ieri mattina è stato pubblicato un pensiero di Michele Pettinari, mister della juniores gialloverde: «Perdiamo un ragazzo straordinario, Marco per noi era una sorta di secondo allenatore in campo». E a seguire il messaggio della società: «Ci sono momenti in cui le parole vengono a mancare: CIAO MARCO, CI MANCHERAI!».
Ieri sera tecnici, dirigenti e giocatori della Benacense si sono ritrovati in sede per un pensiero collettivo da regalare al loro amico. Cristiano Molon, centravanti biancoverde (per tutto il girone d'andata hanno fatto coppia d'attacco visto che Marco era un attaccante esterno), lo ricorda come «un ragazzo speciale, sempre sorridente e sempre il primo ad arrivare agli allenamenti e l'ultimo ad andarsene. Era giovane, tanto giovane, e seguiva i più esperti per imparare qualche segreto in più. Ho saputo stamattina (ieri per chi legge, ndr.) e mi è crollato il mondo addosso».
La tragica scomparsa di Marco ha annullato anche il viaggio al mare al quale avrebbe dovuto partecipare anche lui. Dovevano partire ieri mattina all'alba, guidati dal capitano Stefano Marchiori. Quattro giorni a Riccione per festeggiare il settimo posto in campionato raggiunto dalla Benacense. Doveva essere un weekend speciale, di festa, di allegria. Rimarrà solo il ricordo incancellabile dell'allegria e della bontà di Marco. E quel messaggio vocale sul cellulare: «Ho finito, torno a casa».

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