«Il Nepal ricostruisce ma laggiù non è finita»

Il racconto del pilota trentino Piergiorgio Rosati

di Luisa Pizzini

I fili d'erba ed alcuni piccoli fiori di montagna sbucavano dalle macerie di quella valle soltanto due giorni dopo la scossa di terremoto che, il 25 aprile scorso, ha cambiato per sempre i connotati al Langtang, in Nepal. «Mi ha impressionato vedere quel verde che cresceva tra sassi e lamiere divelte, osservare la forza della natura che si riaffermava. Ma è esattamente così, anche per le persone: le donne nei villaggi sparsi per le valli del Nepal hanno già ricominciato a recuperare pezzi di mattoni, ripulire i sassi e i bastoni di bambù. Li mettono da parte per ricostruire, assieme alle lamiere e ad alcuni teli, quanto basta per mettere al riparo gli uomini e gli animali, l'unica fonte di sostentamento».

Piergiorgio Rosati in Nepal ci è arrivato il giorno dopo la prima, tremenda, scossa di terremoto che ha seminato morte e terrore. Quando in Italia arrivavano le prime notizie di quella tragedia, lui aveva già un biglietto aereo in mano. Destinazione Kathmandu. Il pilota trentino era atteso là anche quest'anno come istruttore di volo d'alta quota ed avrebbe dovuto addestrare alcuni piloti nepalesi. Ma le lezioni si sono trasformate in una sorte di drammatica esercitazione sul campo: Rosati e quegli stessi piloti - due o tre in tutto quelli nepalesi in grado di volare fin lassù - si sono messi subito a disposizione dei soccorsi. Il 27 aprile, a due giorni dall'inizio del sisma, erano già impegnati a fare la spola tra la capitale, Kathmandu, e le valli più lontane dove recuperavano i primi feriti. E poi avanti, per giorni e giorni, a caricare sui rispettivi velivoli persone che hanno perso tutto. Ma anche a portare generi alimentari e di prima necessità a coloro che hanno dovuto attendere prima di lasciare le montagne martoriate o per chi, nelle valli al di fuori del Langtang, rimarrà dove aveva la casa, per ricostruire. «Siete meglio di Dio, ci dicevano. E pur avendo perso tutto, erano capaci di offrire quel poco che avevano, magari una mezza bottiglia di Sprite vecchia di settimane».


«I primi giorni eravamo commissariati» racconta il pilota trentino, tornato dal Nepal una settimana fa. «Con gli elicotteri potevamo volare soltanto dove ci indicavano i militari. Ma era giusto così, almeno all'inizio, perché la precedenza andava data a chi aveva realmente bisogno, ai nepalesi ed alle persone rimaste intrappolate nel Langtang e nelle valli più lontane. Sull'Everest c'era chi era disposto a pagare anche 50 mila dollari per poter scendere in elicottero. Anche se non avevano nemmeno un graffio. Dopo qualche giorno però le compagnie hanno chiesto al governo di poter utilizzare almeno un elicottero a fini commerciali, cioè per effettuare questo tipo di trasporti perché con quei soldi avrebbero potuto sostenere anche i soccorsi». 

In quei giorni più che mai in Nepal è emersa la grande disparità tra la montagna dei ricchi e la povertà della popolazione. Ma non sempre è stato un male, perché ci sono state persone facoltose che, trovandosi là in mezzo a quel dramma, hanno voluto fare del bene. «Come un israeliano che ha pagato di tasca propria il trasporto di 250 bambini o, in modo più semplice, come altre persone che si trovavano là per turismo e compravano sacchi a pelo o vestiti per la gente del posto e chiedevano a noi piloti di portarli a chi ne aveva bisogno». 


Ha visto anche questo Piergiorgio Rosati in quei giorni: gesti spontanei di generosità che riempiono il cuore e, con gli stessi occhi, ha visto le immagini più atroci di questa tragedia. Che fatica perfino a raccontare, che riaffiorano di continuo alla mente.
«Il recupero dei corpi Oskar (Piazza, ndr ) e di Gigliola (Mancinelli, ndr ) è stato relativamente semplice, almeno dal punto di vista tecnico, non certo emotivo - ricorda -. Ho sofferto molto invece, insieme a Gianpaolo Corona e François Cazzanelli, la ricerca delle salme di Renzo Bendetti e Marco Pojer. Era una ricerca continua, condotta per piccolissime tracce. Abbiamo intervistato sherpa, cuochi, escursionisti, gente del posto. Alla fine abbiamo localizzato il punto in cui erano e credo sia stato quello in cui il sisma ha avuto gli effetti più violenti. È una zona ciclopica, un mare di detriti. E lì ci siamo dovuti fermare... ».

Ma non è ancora finita la tragedia in Nepal. «Il popolo nepalese è convinto che la montagna si sia ribellata perché è stata profanata da atteggiamenti che loro non comprendono. Ora ricostruiranno, con quel poco che hanno. Ma non è finita. La terra franerà ancora lassù, ci saranno altri morti. Il Langtant è stato svuotato, ma la gente rimane nelle altre valli».

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