Il mostro di Bolzano non è mai esistito

Il mostro di Bolzano non è mai esistito

di Alberto Faustini

Cappuccetto rosso che si mangia il lupo. Con il lupo condannato a morte da un pezzo di Bolzano, da quasi tutta la politica (non solo bolzanina), seppur con sfumature profondamente diverse, e forse anche da un pezzo recondito di ognuno di noi. Senza processi. Senza prove. Senza accuse. Senza senso.

A Bolzano il mondo si rovescia. La vicenda della ragazzina violentata nei pressi del ponte giallo, lungo una passeggiata che molti di noi hanno percorso o ammirato almeno una volta, è un palloncino che si sgonfia. Il frutto della fantasia di chi voleva solo far ingelosire un ragazzino. La sorprendente chiusura dell’inchiesta un po’ rincuora: perché quest’ultima, imprevedibile pagina, ci restituisce, intatte, le amate passeggiate bolzanine, le giornate da passare all’aperto, la ciclabile percorsa ogni giorno da centinaia di bolzanini. Ma un po’ spaventa e spiazza: perché la storia tragica, anche quando diventa vicenda a lieto fine, lascia segni indelebili. Graffi nei pensieri pieni di livore di chi è sempre pronto a scagliarsi contro il nemico. Anzi: contro l’uomo nero. Inteso non solo come il cattivo di piccole e antiche fiabe.

La storia del ponte giallo di Bolzano lascia infatti solchi profondi anche negli occhi di chi ha comunque sempre cercato di guardare in faccia la realtà, senza andare a caccia di fantasmi. La violenza che non c’è mai stata, ma che è diventata vera in un racconto che solo bravi inquirenti hanno saputo smontare pezzo per pezzo, si sbriciola nel dramma di una ragazzina che ha costruito una storia più grande di lei, restandone prigioniera. Impigliando i suoi sogni bambini nella rete degli incubi adulti. Un cerino strisciato sulla carta vetrata della nostra paura, sul nostro desiderio di vedere e trovare il nemico anche quando non c’è.

Nell’epoca delle apparenze e del virtuale quel che accade davvero non conta più. Pesa unicamente ciò che si narra, meglio se con la bocca piegata dal dolore, con gli abiti a pezzi. I castelli di parole sono più che sufficienti: per sconvolgere un ragazzino che non si vuole perdere; per cambiare le nostre abitudini; per indurci a pensare che Bolzano sia diventata la galleria degli orrori; per evitare - e far evitare ai nostri figli - quel lembo di passeggiata che fino al “dramma” del ponte giallo era un angolo gioioso e che per un pugno di settimane s’è fatto isola di terrore.

Oggi si deve chiedere scusa ad ogni straniero che è finito sul banco degli imputati. E parlo di stranieri perché la ragazzina, nell’astruso racconto che ha confezionato per ingelosire il fidanzatino e, di fatto, per condizionare l’intera città di Bolzanio, non ha nemmeno immaginato che il lupo inesistente potesse essere bianco come cappuccetto rosso.

Oggi siamo tutti vittime. Del pregiudizio. Delle deduzioni a senso unico. Delle paure. Dell’insicurezza che percepiamo anche mentre viviamo su isole felici. Siamo vittime di una ragazzina che è in realtà la prima vittima delle sue piccole paure. Di una giovane che ha portato il buio dove c’è la luce, il terrore lungo passeggiate che sono sempre state, per i bolzanini e per i turisti, il balcone di casa.

Quella ragazzina non va comunque giudicata. Va capita, anche se non è facile. Perché ha fatto ciò che molti tendono a fare oggi: s’è messa al centro del mondo. Per destare attenzione. Ignorando le conseguenza di ogni suo gesto. Chi ha fatto le indagini, a tutti i livelli, va invece ringraziato: mentre la folla voleva il lupo, chi indagava ha indugiato su dettagli inesistenti e ha cercato di rompere il velo delle menzogne per cercare la verità impensabile. Chi ha cercato invece a tutti i costi un mostro (non il mostro di Bolzano, ma il mostro arrivato a Bolzano da chissà dove), va invece invitato semplicemente a pensare (sforzo non facile): cavalcare ed esaltare la paura ci sta portando in un vicolo cieco fatto solo di odio e di sospetti.

Ci sta rendendo più aggressivi e insieme più vulnerabili. Il libro della vita va letto nel suo insieme. Non basta fermarsi a una pagina pensando d’aver capito il dramma di una vittima che vittima non è, se non della sua fantasia, fattasi di colpo ingovernabile. È inutile arenarsi sulla superficie del verosimile. Perché a volte è davvero cappuccetto rosso ad uccidere il lupo. Anche se il lupo non c’è proprio, in questa storia del ponte giallo di Bolzano.

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