Lo show superstar che non invecchia

Lo show superstar che non invecchia

di Paolo Ghezzi

Perché «Jesus Christ Superstar» (super produzione italiana di ormai lunga e onorata carriera) ha fatto altri due «tutto esaurito» all’auditorium, con un sacco di giovani entusiasti che nel 1973 (anno di uscita del film) erano ben lungi dall’essere nati e non hanno vissuto l’epopea hippy-sessantottina che ha partorito la riscrittura del Vangelo in forma di musical? Perché, 44 anni dopo, funziona ancora?

Perché la grande opera rock (come questa di Webber/Rice, prima edizione 1970, come «Hair», anch’essa transitata da Trento qualche tempo fa) ha imparato la lezione del melodramma italiano, e dunque alterna sapientemente momenti epico-drammatici con spicchi sentimentali di «bel canto» lirico (nel nostro caso, la ballata «I don’t know how to love him», che esprime i tormenti d’amore della Maddalena, ma anche di Giuda); siparietti di alleggerimento (il balletto dell’Erode tutto piume e lustrini) e adrenalina corale (Superstar!).

Perché la musica è tosta e il testo è gagliardo, soprattutto nelle parole di Giuda e dei cattivi, e si fa perdonare qualche esilarante debolezza: Gesù che dice alla Maddalena che lo profuma «mmm, Mary, this is good»; i dodici apostoli che cantano: quando poi ci ritiriamo scriviamo il vangelo e diventiamo famosi. Ah, il sogno americano. Perché il musical d’oltreoceano, proprio come il melodramma italiano, è un genere «classico» che funziona perché ha le sue leggi, i suoi ritmi, le sue convenzioni, le sue star e il suo implacabile meccanismo spettacolare: perché alla fine il pubblico ama la rassicurante, ben congegnata ripetizione di ciò che conosce quasi a memoria piuttosto che l’avventura di sperimentare terreni nuovi, di ascoltare sonorità diverse.

Perché la storia di JCS resta una grande trama drammatica, un giallo giudiziario, un film d’azione: un protagonista di oscure origini (il figlio di un falegname di Nazareth) che infiamma le folle con un messaggio rivoluzionario (amatevi gli uni gli altri; anzi: amate anche i vostri nemici); un traditore che forse lo ama più degli altri seguaci e forse per questo lo «pugnala» alle spalle; i potenti che lo vogliono schiacciare; la violenza feroce contro l’innocente; una condanna a morte con sanguinosa esecuzione.

Perché l’orizzonte del sacro, scacciato dalla porta, si riaffaccia alla finestra: le liturgie perdono schiere di fedeli, soprattutto tra i giovani, e così lo spettacolo si ripropone come buon surrogato di rito salvifico, emozione e catarsi: il mitico Ted Neeley, protagonista del film di Norman Jewison, richiamato in servizio con i suoi anni e i suoi chili supplementari, viene acclamato dalla folla degli spettatori come un messia ultrasettantenne che benedice con gesto stereotipato ma è ancora capace di miracolosi acuti e corsette atletiche giù per le scale (la giovane figlia vende dischi e gadget al banchetto, e contribuisce all’effetto straniante di un salvatore che tiene famiglia).

Infine, l’ultima ragione del consenso del pubblico ha forse a che fare con le domande (e i dubbi) che risveglia nello spettatore, nella profondità chiaroscurale dell’anima attraverso la sempre nuova meraviglia degli «effetti». Il mistero del male resta il più terribile e il più affascinante per l’umanità: perché chi annuncia l’amore viene ricambiato con l’odio? Perché i potenti amano torturare gli indifesi? E perché facciamo quel che non vogliamo fare e non facciamo ciò che vorremmo? Giuda Iscariota è una straordinaria figura dell’ambivalenza umana: ama Gesù di appassionato amore e poi lo consegna ai malvagi sacerdoti; decide di tradirlo perché è deluso come rivoluzionario tradito e poi si pente e si uccide per il tradimento consumato; si accusa ma insieme lo accusa: perché è toccato a me farlo, visto che qualcuno doveva pur farlo, visto che sei venuto per questo? E chi è dunque la vittima e chi il carnefice? Angelo e assassino coabitano nello stesso cuore; amico e nemico si intrecciano e si confondono; i dèmoni buoni ci salvano, quelli malvagi ci dannano e insieme agitano le nostre coscienze. Fino a quel grido così scandaloso in bocca a un figlio di Dio: «Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato?». Il grido di chiunque, nel tempo - che a ciascuno tocca - disperato. Poi le luci si spengono, da Gerusalemme santa e insanguinata si ripiomba nella città del Concilio, si rimettono i giacconi e si torna fuori, nel buio della sera. Il tempo solo per un ultimo lampo: è Giuda! È proprio Giuda superstar. «Che figo, il giovane Giuda»: così un gruppo di giovani donne festanti abbraccia il traditore.

Il vecchio Ted Jesus non risorge ancora, dopo lo show. E allora, prima che se ne vada a cena con Pietro e Pilato, facciamo un selfie con Giuda.

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