Il sogno di Silvio sotto il cielo di Mosca

Il sogno di Silvio sotto il cielo di Mosca

di Paolo Ghezzi

«Basta gargarismi sacri, basta riverenze romane, lo spirito di Dio è amore travolgente, senza confini. È radioattivo». C’era una volta un piccolo prete tondetto, nativo di Cloz e forse di ascendenze ebraiche, con tre caratteristiche piuttosto straordinarie: una generosità spericolata con gli amici (era un gran maestro di cene e risate strepitose) ma anche con i poveri sconosciuti; un eccezionale senso dell’umorismo dentro una simpatia irresistibile; una capacità di spalancare gli orizzonti e di sognare l’impossibile, ai limiti della visionarietà.

Si chiamava Silvio Franch, ci ha lasciato il giovedì santo di 15 anni fa, era il delegato per l’ecumenismo della diocesi di Trento che ha ricostruito i ponti con le Chiese ortodosse orientali, da Istanbul a Mosca, e i molti suoi amici l’hanno «sentito» in questi giorni brindare - con l’eccellente vino rosso della cantina paradiso, inesauribile dono delle nozze di Cana (il primo miracolo del Nazareno, la trasformazione dell’acqua, è una bella provocazione per i credenti astemi) - alla svolta ecumenica del papa.
Solo gli occhi puri, evangelici e dunque profetici, utopici e rivoluzionari del vescovo di Roma, di quel Francesco venuto quasi dai confini del mondo, potevano «vedere» e realizzare ciò che si sogna da sempre: un incontro tra il capo della Chiesa cattolica e il patriarca ortodosso di Mosca.

Lo storico incontro ecumenico tra cristiani separati da mille anni di diatribe, diffidenze e perfino odio avverrà venerdì prossimo 12 febbraio a Cuba perché Francesco, gesuita di francescana umiltà, ha lasciato che Kirill scegliesse il luogo e la data a lui più congeniali, il campo neutro preferito, senza frapporre pregiudiziali o condizioni.

Silvio Franch, con l’infaticabile creatività della sua tessitura ecumenica, è stato il profeta di un dialogo che partiva dal basso, fondato sull’empatia e sull’amicizia, strada concreta per aggirare le trappole delle controversie dottrinali.
L’indimenticabile incontro ecumenico europeo del 1984, che ha visto convergere a Riva e poi a Trento (per la recita solenne e commovente del comune Credo in Duomo) decine di leader religiosi di tutte le Chiese cristiane europee è stato il capolavoro franchiano che ha aperto la porta ai grandi viaggi di riconciliazione fraterna in Russia e in Turchia, da dove vennero i primi evangelizzatori del Trentino, i tre Cappadoci.

Don Silvio non idealizzava i suoi interlocutori, non vendeva fumo d’incenso, ma sapeva cogliere il lato umano di ciascuno, anche di quelli che apparivano più severi ed enigmatici, come il patriarca di tutte le Russie Alessio II. Era diventato suo amico personale, ma come rideva di gusto - il Silvio - quando gli amici trentini irriverenti si riferivano ad Alessio come al «gatàz», per via degli occhi che si assottigliavano in feline fessure impenetrabili, dai lampi indecifrabili. Don Franch, un genio trentino di libertà e di intraprendenza, ben spalleggiato dal fedelissimo Alessandro Martinelli che oggi ne continua la missione, aveva capito che il lato comico della vita è rivelatore quanto quello tragico: maestro nel prendersi in giro, non mancava di irridere le ottusità curiali che detestava. Convinto com’era che, se è vero che lo spirito soffia dove vuole, non c’è frontiera né tradizione che resista al Vangelo dell’amore.

E sotto la luna della Cappadocia, come un pastore errante nell’Asia, sapeva commuoversi per Orhan, il giovane aiuto-autista turco, fratellino islamico: «creatura», lo chiamava, come ogni essere umano, figlio dell’Unico.
E così al Silvio, impareggiabile santo clown, spuntavano due lacrime due imprecazioni e due lodi, verso il cielo sopra Costantinopoli. Stretto parente del cielo sopra Roma e del cielo sopra Mosca.

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