«Nella cabina elettorale Dio ti vede. Stalin no»

«Nella cabina elettorale Dio ti vede. Stalin no»

di Luigi Sardi

«Nella cabina elettorale Dio ti vede. Stalin no. E neanche il capocellula». Era la vigilia del 18 aprile 1948, dunque 70 anni fa, e l’Italia era profondamente spaccata alla vigilia di quelle elezioni che segnarono la storia della nazione, dell’Europa e della «guerra fredda» che se fosse diventata atomica avrebbe segnato la fine dell’umanità.

Era lo scontro fra la Democrazia Cristiana di Alcide Degasperi, l’uomo venuto dal Tesino e il Fronte democratico popolare di Palmiro Togliatti l’uomo venuto da Mosca, fra la Chiesa di Pio XII e l’America del Piano Marshall da una parte e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche di Giuseppe Stalin, già campanaro nel 1905 nella chiesa degli Armeni a Venezia sull’altro fronte, quello della bandiera rossa. Sugli italiani si rovesciò una campagna elettorale senza esclusione di colpi, menzogne, preghiere e minacce.

Un solo esempio. In un’Italia dove erano milioni i reduci della Grande Guerra, i comunisti innalzarono la figura di Cesare Battisti impiccato dagli austriaci e il 13 aprile a Milano, in Piazza del Duomo, di fronte a trecentomila lombardi memori delle Cinque Giornate – e i manifesti che le richiamavano avevano tappezzato ogni angolo della città – Alcide Degasperi cominciò il suo discorso dicendo: «Si è stampato e affisso ai muri che io, deputato al Parlamento austriaco avrei approvato la condanna di Cesare Battisti e si conta molto sulla presunta ignoranza di chi legge o ascolta. In realtà, quando avvenne la tragedia di Battisti, il Parlamento austriaco era chiuso e quando venne convocato nel 1917 io fui l’unico dei deputati trentini che ebbe il coraggio di insorgere e condannare quello che era avvenuto».

Come si legge su «Il Popolo Trentino» – che poi diventerà «L’Adige» – di mercoledì 14 aprile 1948.

I giornali cosiddetti indipendenti si erano schierati apertamente per la Dc; ogni foglio stampato si era impegnato a spingere il popolo verso i seggi elettorali ben sapendo che le radici cattoliche, la paura del «bolscevichismo» nata nel novembre del 1918, ingigantita a dismisura dal fascismo e nel 1948 bollata in ogni chiesa, avrebbero fatto il resto. Da ogni pulpito veniva ingigantita l’ombra dell’orda rossa, dei cosacchi che avrebbero abbeverato i loro cavalli alle fontane di Piazza San Pietro e fra il 18 e il 19 aprile di quell’anno lontano nel tempo e forse dalla memoria, 27 milioni di italiani, il 92 per cento degli aventi diritto al voto, si presentò ai seggi. Chiusi tutti i bar, i bordelli, le balere, i bocciodromi.

Gli italiani non dovevano distrarsi. Spalancati invece i portali delle chiese dove era esposto il Santissimo: il 48,5 per cento votò lo scudo crociato e le bandiere rosse vennero ripiegate fino a quel 16 marzo del 1978 quando con via Fani e il rapimento di Aldo Moro tornarono sventolate da chi applaudì la strage ma anche a garrire a fianco di quelle con lo scudo crociato portate in piazza dalla maggioranza degli italiani che fecero argine al terrorismo.

Il voto fu una conferma dei pronostici della vigilia. Il Vaticano aveva moltiplicato i suoi sforzi a favore del partito cristiano; il 13 dicembre del 1947 il presidente americano Truman aveva preso l’impegno di mantenere la libertà, la pace e il benessere in Italia, dagli Stati Uniti arrivavano navi cariche di grano, carbone, benzina, indumenti ma il 20 marzo del 1948 il segretario di Stato Marshall aveva detto chiaro e tondo che una eventuale vittoria comunista avrebbe significato l’immediato blocco degli aiuti del famoso Piano che stava salvando gli italiani dalla fame e dalla miseria. Nel novembre del 1947 Palmiro Togliatti aveva dichiarato quel «noi ci manterremo sul piano parlamentare fino a quando ci sarà possibile e fino a quando le questioni potranno essere risolte sullo stesso piano; per il resto si possono fare anche rivoluzioni democratiche», facendo capire di non escludere che il Pci si trovasse costretto ad uscire dalla legalità.

Si sapeva benissimo che insieme alle armi usate durante la Resistenza, i partigiani comunisti avevano conservato anche lo spirito di quell’epopea popolare preludio alla rivoluzione. Lo stesso spirito che trent’anni dopo avrebbe incendiato il dettato delle Brigate Rosse.
Contro comunisti e socialisti aveva giocato la crisi di Praga con il colpo di stato comunista e il «suicidio» del premier Jan Masaryk. «L’Unità», l’organo del Pci aveva liquidato la tragedia come un complotto americano sventato dalla reazione popolare. Ma c’era di mezzo il futuro di Trieste con gli americani pronti a consegnare la città agli italiani e il maresciallo Tito a minacciare di marciare fino all’Isonzo.  

«Tutti a votare per la salvezza delle nostre famiglie» era il titolo del «Popolo Trentino» di sabato 17 aprile e quando il responso delle urne fu definitivo, il giornale intitolò «Alla Democrazia Cristiana – Maggioranza assoluta». Nel Trentino votarono per la Dc ( alla Camera ) in 166.347 e solo 25.501 per il Pci o più esattamente per il Fronte che raccoglieva tutti i voti della sinistra. Dichiarò Alcide Degasperi: «Noi serviremo la Nazione senza mire egoistiche di partito, sul terreno della libertà e con la collaborazione delle forze confluenti verso l’indipendenza, la pace e la cooperazione dei popoli liberi. Su tale base noi costruiremo le riforme sociali».

Era l’aprile del 1948. Appunto settanta anni fa. Scrisse Flaminio Piccoli: «Stiamo vivendo uno dei momenti che sentiamo decisivi per noi, per i nostri figli e per il nostro Paese». Francamente in quell’anno cominciò una stagione di costante crescita economica per l’Italia.

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