Terrore: dagli anni di piombo agli anni dell'Isis

Terrore: dagli anni di piombo agli anni dell'Isis

di Luigi Sardi

È una storia ormai antica quasi dimenticata se non fosse per quel senso di inquietudine che dopo 46 anni e per colpa di chi uccide nel nome di Dio torna a serpeggiare facendosi rivivere gli anni di angosce legati al terrorismo. Era il 12 dicembre del 1969, il tristissimo giorno della strage di Piazza Fontana, a Milano, nella Banca dell’Agricoltura, a due passi dal Duomo. Con i suoi 16 morti, i molti feriti, la paura e lo sgomento scatenati, non fu la più atroce fra le stragi che insanguinarono il Paese ma fu una sorta di freccia avvelenate nel corpo dell’Italia e degli italiani perché diede l’avvio a giornate di cieca ferocia e perché le indagini, grossolanamente contraddittorie, attizzarono tutte le polemiche, sfiduciarono il mondo della politica andando ad alimentarono la malvagia pianta del terrorismo.

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Piazza Fontana resta, sul piano giudiziario, un mistero. Si avvicina il mezzo secolo, non si è mai arrivati in fondo a quel pozzo tenebroso ed è inutile sperare di arrivarci mentre s’addensano altre tenebre: quelle dettate dal terrorismo scatenato nel nome di un Islam che non ha nulla a che vedere con la grande religione.

Nel sacro libro del Corano la Sura aprente, quella che ogni musulmano impara a conoscere a memoria fin da bambino, appare come un canto di serenità con quel «Nel nome di Dio, clemente e misericordioso… guidaci per la retta via, la via di coloro che hai colmato di grazia» e anche la Sura del mattino recitata quando l’alba come un sottile filo di seta divide la notte dal giorno, appare come un inno alla bontà con quell’invito a non maltrattare l’orfano, a non respingere il mendicante «parlando loro della bontà del Signore».

Un modo per contrastare la povertà e l’ignoranza con un atto di fede. E ci sono con i novantanove nomi di Allah, le lodi a Dio chiamato misericordioso, colui che perdona, l’amabile, il mite, la giustizia, colui che difende e via elencando. Nelle case dei musulmani quei nomi sono scritti con elegante grafia in quadri il più delle volte collocati fra la fotografia della Mecca e quella che mostra il panorama di Gerusalemme, la terza città santa dell’Islam.
Non c’è nel Corano un incitamento all’odio, al delitto, alla strage. C’è l’invito, comune a tutte le religioni, a diffondere la fede, ad essere retti e corretti, a convertire gli infedeli non a massacrarli. La misericordia sembra un filo conduttore, un costante invito all’armonia e le minacce sono rivolte «a coloro che fingendo di pregare, dalla preghiera sono distratti, che agiscono per essere visti e rifiutano l’elemosina» uno dei pilastri dell’Islam. Minacce dell’ira di Dio rivolte a quei musulmani tiepidi con la religione non agli infedeli, cioè a tutti noi.

Sua Altezza Reale il Principe di Giordania El Hassan bin Talal, fratello minore di re Hussein nel suo libro «Essere  Musulmano» stampato 20 anni fa, scrive che «la religione islamica non perdona l’uso gratuito della violenza, l’intimidazione o il sacrificio di persone innocenti in nessuna circostanza, e quindi è chiaramente anti-terroristica nei suoi principi. La pratica del terrorismo da parte dei musulmani non giustifica l’associazione del terrorismo all’Islam» aggiungendo come la sua ricerca nei valori dell’Islam e l’invito al dialogo interreligioso si concretizza «in un mutuo rispetto e di ponti, piuttosto che di confini. Solo attraverso il dialogo può essere costruito un futuro in cui l’Europa e il mondo musulmano non siano più rivali ma partner, pronti a darsi la mano in uno sforzo comune» aggiungendo che «l’Islam non deve essere considerato un mondo nemico ma un mondo fratello che ha un ceppo comune con l’ebraismo e il cristianesimo».

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Parole bellissime che hanno cambiato significato dal giorno delle Torri Gemelle e fatto precipitare l’Europa nel terrore con l’aereo russo fatto esplodere nel cielo del Sinai, la bomba deflagrata fra i giovani in terra turca, l’orrore di Parigi.

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Adesso c’è allarme in Italia dove stiamo già pagando l’altissimo prezzo di una mobilitazione armata senza precedenti che riporta indietro di mezzo secolo le lancette della nostra storia appunto a quel venerdì 12 dicembre, a quella esplosione che alle 16,37 cambiò l’Italia gettandola nella catastrofe degli anni di piombo.

Giusto un anno prima, il centro sinistra era stato affidato nelle mani di Mariano Rumor l’uomo meno adatto ad occupare quell’incarico in un momento di crescenti agitazioni sindacali, di contestazione studentesca, di difficoltà economica. Il 31 gennaio del 1968 era iniziata all’Università di Trento la «contestazione studentesca» guardata con occhio maligno perché si era radicata nella città feudo di Flaminio Piccoli, alleato di Rumor e di Toni Bisaglia i capi corrente o «cavalli di razza» come si diceva allora, della Dc più conservatrice. L’attenzione a sociologia sviò le indagini attorno all’attentato all’Alpen Express il treno che da Monaco di Baviera era diretto a Roma. L’attentatore salì a Innsbruck, collocò la valigia in uno scompartimento, sceso al Brennero, la stazioncina di un paesino dove c’erano più militari che abitanti e sparì nel nulla. La sua valigia venne scaricata alla stazione di Trento ed esplose, dilaniandoli, nelle mani di due agenti della Polfer: Edoardo Martini e Filippo Foti. Era il 30 settembre del 1967.

Da tempo si è radicato il sospetto che quella valigia passò nelle mani di certi uomini legati ai servizi segreti chiamati «deviati» e visto che dopo Piazza Fontana – per quella strage si indagò bizzarramente anche a Trento – avvennero altri attentati ai treni, il sospetto è più che legittimo. Quel 30 settembre 1967 e la data – completamente dimenticata – può essere presa come l’inizio della lunga epoca del terrore che vide i delitti firmati dalle Brigate Rosse, gli omicidi commessi dai camerati più o meno vicini al Movimento Sociale Italiano, la strage in Piazza della Loggia a Brescia, sul treno Italicus, l’annientamento della scorta di Aldo Moro e l’omicidio nell’orrore della «prigione del popolo» del presidente della Dc. Il terrorismo fece un numero enorme di vittime, in un delirio sanguinario privo di ogni senso. Restano tutti i dubbi giudiziari sull’aereo di Ustica e la bomba alla stazione di Bologna. Poi arrivò il 27 dicembre del 1985, la strage a Fiumicino. Un commando palestinese attaccò, nell’aeroporto della Capitale, il banco d’accettazione della compagnia di bandiera israeliana. La polizia italiana e gli agenti di Israele reagirono e sul terreno rimasero 13 morti e 75 feriti.

Restava, giù in Sicilia, l’orrore dei delitti di mafia, l’assassinio del generale Alberto Dalla Chiesa dei giudici Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino (19 luglio 1992) e degli uomini delle scorte, ma sono anni che l’Italia non è più segnata dal tritolo, dalle stragi, dal terrorismo. Adesso torna un’epoca di allerta, di passione, di attenzione. Anche i musulmani che hanno trovato profonde radici in Italia possono darci un forte aiuto nel segno della prevenzione.

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