Samantha e quelle scritte da guerra fredda

Samantha e quelle scritte da guerra fredda

di Luigi Sardi

Dallo spazio la «Samantha Nazionale» ci manda gli auguri garantendoci la bellezza dell’Italia vista da lontano, anzi da molto lontanto. Resta l’incanto e un riflessione: quel «Russia» in cirillico dietro l’immagine dell’astronauta Samantha e poi il nome e il cognome scritti, sempre in cirillico, sulla tuta della trentina «prestata» allo spazio, forse non sono stati neppure notati nell’euforia e nell’ansia cresciute attorno a quella cometa che ha scagliato la nostra conterranea al di sopra di ogni fantasia.

Un russo. Un americano e una donna trentina in quel satellite dove si parla inglese, russo e trentino fa correre la memoria al 4 ottobre del 1957 quando il mondo – attonito e spaventato – ascoltò quel «bip-bip» che arrivava dallo spazio, da quei 58 centimetri di sfera chiamata Sputnik mentre girava attorno alla terra portando con la scritta cirillica CCCP le insegne dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: la falce e il martello con stella rossa.

La «guerra fredda» era al culmine. Quella in Corea, pur nella tregua ancora in corso nonostante il mezzo secolo trascorso, continuava a mettere in bilico il mondo, minacciando di incenerirlo con una pioggia di bombe all’idrogeno ben più funeste di quelle atomiche. Nell’ottobre del 1956 c’era stata la rivolta di Budapest soffocava dai carri armati sovietici e il «bip» che pioveva dallo spazio, aveva fatto capire che i missili targati Urss erano in grado di colpire ogni angolo della terra.

Quella somma di avvenimenti aveva indotto, era appunto il dicembre del 1957, padre Agostino Gemelli, il fondatore della Cattolica, a lasciare l’eremo di Rezzato e presentarsi a Brescia, alla biblioteca Queriniana, per parlare ai giovani e convincerli, se chiamati, a fare con coraggio e dedizione il loro dovere per la patria e per la chiesa contro il bolscevismo.

Entrò nella splendida sala sorretto da due robusti frati, lui curvo e barcollante con la grande barba bianca ad incorniciarli un viso divenuto molto pallido più per l’età che per la malattia. Lo accolse il grido spontaneo e vigoroso di «vita! vita! vita!» vagamente somigliante all’«a noi» all’epoca di recentissima memoria e quando la folla di giovani tacque s’udì la sua voce ad indicare in Mosca e nell’Urss il covo dell’Anticristo.

Da ricordare che Agostino Gemelli, maggiore del Regio Esercito, celebrò ai piedi del monumento a  Dante la funzione di ringraziamento per la vittoria del 1918, momento splendidamente immortalato sulle pagine della «Domenica del Corriere» dalla matita di Achille Beltrame e poi benedì i molti gagliardetti del fascismo.

Tempi lontani. L’Urss non c’è più, la bandiera rossa è scomparsa come vessillo, canzone e minaccia, le scritte in cirillico non fanno più paura e i russi sono benedetti dall’Isola d’Ischia a Canazei, dal Chianti al Teroldego anche se moltissimi di loro quando scorrono la lista dei vini prima della marca guardano il prezzo per scegliere quello più costoso da bere rigorosamente con molta vodka.

Ma, francamente, chi poteva pensare nel 1957, ad una donna trentina in una capsula nello spazio con il nome e il cognome scritti in cirillico?

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