L'ironia, una qualità riservata ai saggi

L'ironia, una qualità riservata ai saggi

di Lucio Gardin

Quale professionista dell'ironia spesso ricevo messaggi da persone interessate alle basi dell'umorismo. «Che razza di cog...ne sei? Pezzo di m. che non sei altro», solitamente iniziano così per proseguire con una domanda «che c. c'hai da ridere su qualsiasi cosa?». 
E questa, naturalmente, è la parte più bella dell'umorismo. Quello che può sembrare deprimente o addirittura tragico per qualcuno può essere divertente per un altro, specialmente se si è fatto dalle quattro alle sette birre. Ma come nasce l'umorismo? Questa non è una domanda semplice. Fin dai tempi della preistoria gli uomini saggi cercavano di capire cosa esattamente faceva ridere. Questo è il motivo per cui erano chiamati saggi. Tutte le altre persone preistoriche erano fuori a pugnalarsi a vicenda con le lance, mentre gli uomini saggi erano nella caverna che dicevano: «Cosa ne dite di questa: Ecco mia moglie, prendetevela su? No, no.. questa: Volete qualcosa? Mia moglie sarebbe libera. No, no questa...».
L'umanità non sviluppò un sistema logico di umorismo fino a quando, migliaia di anni dopo, Aristotele mentre si faceva la barba scoprì il famoso sillogismo umoristico che afferma «Se A è uguale a B, e B è uguale a C, allora A è uguale a C», e la domanda del popolo fu: ma se sono uguali perché chiamarli diversamente? 
Col passare del tempo l'umorismo è diventato sempre più popolare fino ad avere l'apice nel dodicesimo secolo, quando Omero scrisse l'Iliade e l'Odissea (quest'ultima liberamente ispirata alla viabilità di Rovereto). Omero ebbe un'illuminazione umoristica, che invero sfuggi ai più, chiamando il personaggio principale Achille «piè veloce». 
L'attribuzione di un soprannome simile a uno che soffriva di tallonite la dice lunga sull'ironia dei greci. Oggi il popolo greco ha ben poco da ridere, ma in passato ci hanno dato dentro. E poi arriviamo al 1500 con Shakespeare. Forse il più ironico dei poeti drammatici. L'ironia di Shakespeare è data dal suo linguaggio criptico e aulico pressoché incomprensibile tenendo conto che all'epoca, in tutto il mondo, c'erano solo tre persone che sapevano leggere: lui, Dante e Pippo Baudo. E Dante era morto da circa 200 anni. Ecco una frase da l'Amleto: «S'hai suon di voce ed uso di parola, parla! Se c'è da fare buona cosa che possa a te recare alcun conforto e grazia alla mia anima favella». Probabilmente aveva il T9 difettoso. 
 
Non credo si tratti di un caso che nei drammi di Shakespeare la maggior parte dei personaggi si suicida prima della fine, ingoiando il copione. Tranne Ofelia che decide di buttarsi a mare. Perché i copioni erano finiti.
 
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