Terribile: ho sognato di essere morto

Terribile: ho sognato di essere morto

di Lucio Gardin

Voglio raccontarvi un terribile sogno che ho fatto. Di colpo, senza preavviso, tra il lusco e il brusco, come se niente fosse stato, ero morto. Sono uscito di casa ridotto alla sola anima, senza preoccuparmi di com’ero vestito (perché del mio vecchio corpo non c’era più niente) e neanche di pettinarmi (stavolta per abitudine). In giro per città le persone attraversavano la strada senza guardare se arrivavano macchine, tanto, non poteva succedere niente perché erano già tutti morti.

Nei supermercati andavano a ruba gli yogurt coi fermenti lattici morti e alle feste, i mortaretti. Per le strade la gente girava in moto senza casco, in auto senza cinture, e si buttavano col parapendio senza parapendio, tanto erano già morti. Il settimanale diocesano Morte Trentina riportava un articolo in cui si diceva che «Chi non muore si rivede» e quindi, essendo tutti morti, non si rivedeva nessuno. A dire il vero, non erano proprio tutti morti, c’erano anche dei ragazzi tenuti in vita grazie a piccole apparecchiature elettroniche (I-phone, I-pad, Smartphone).

Beh, più che «tenuti in vita», in realtà erano tenuti in morte apparente. Diciamo che morivano on line, così, alla giornata. A un certo punto un tale, che aveva tutta l’aria di essere un giudice mi ha chiesto di seguirlo. Mi ha portato in una specie di aula, dove dietro a una grande cattedra mi ha invitato a giurare che avrei detto la verità. Dovevo giurarlo sulla cosa cui tenevo di più al mondo.

Non potendo giurare sulla mia vita perché non la avevo, ho giurato su quella dei figli di Berlusconi; se sono ancora vivi dopo tutti i giuramenti del padre, non rischiavano certo di morire per colpa mia. Diciamo che il buon Silvio con i suoi giuramenti li ha vaccinati contro la morte. Il giudice mi dice che mi trovo in una specie di limbo e mi chiede se, alla luce di come ho vissuto, ritengo di meritare l’inferno o il paradiso. Beh - gli rispondo - facendo una cosa si sbaglia, facendo l’opposto si sbaglia lo stesso, non facendo niente si sbaglia uguale e per di più ci si annoia.. e così gli ho detto che, secondo me, merito il paradiso. Lui si alza in piedi e mi urla «Sbagliatooo! Lei si merita di stare all’inferno!».

Avevo capito dall’andazzo, che non era ammesso il ricorso in appello, e così ho accettato la sentenza. Ignoro cosa sia successo poi; avevo ormai riaperto gli occhi sulla solita finestra, sulla solita alba, sul solito mondo.

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